Azzurro e Rosa: dalle uova di Pasqua alla bandiera trans

Ieri ero al supermercato con mia figlia di 14 anni che si dichiara trans. Mentre camminiamo tra colonne interminabili di uova di Pasqua, mi si avvicina per un commento a bassa voce: “Non li denuncia nessuno questi che fanno ancora le uova ‘Bimbo’ azzurre e le uova ‘Bimba’ rosa?”

Quando il tema è l’identità sessuale, il gap generazionale (pur avendo io partorito mia figlia a 25 anni) si fa sentire come non mai.

Stavolta però sono profondamente d’accordo con la sua osservazione, e anzi l’uovo azzurro e quello rosa infastidiscono anche me, fin da quando lei era piccina e preferiva le costruzioni alle bambole, i dinosauri agli unicorni, e l’uovo di Pasqua lo chiedeva dei supereroi. Mi chiedo, se allora avesse potuto scegliere di giocare con le macchinine e vestirsi con tute comode, senza sentirsi strana e diversa, sarebbe finita comunque a dichiararsi maschio? Se la società non avesse perso occasione per puntualizzare la non conformità delle sue scelte (spesso più tipicamente maschili), avrebbe poi messo in discussione la sua identità?

Quando ero piccola io, la mamma mi vestiva con gli avanzi di mio fratello più grande. Giocavo con i giochi di mio fratello, quindi lego, macchinine, costruzioni e perfino soldatini. Addirittura, d’estate mi venivano a forza tagliati i capelli corti per comodità e freschezza. Immagino che in quelle estati, con la tutina blu dismessa da mio fratello, i capelli corti e un corpo infantile, le persone non potessero essere certe del mio essere femmina prima di conoscere il mio nome. Non ero strana io, era così per tutte. Figlie del ’68, le nostre madri avevano rimescolato le carte, liberando un po’ le bambine dalla femminilità stereotipata. 

Ma l’abitudine di vestire i bambini “da bambini” e non in base al sesso non era certo nuova: fino alla metà dell’800 tutti i piccoli indossavano pratiche vestine bianche. Solo in seguito, si darà il via alla moda per bambini e, con l’industrializzazione, verrà anche la trovata del proporre un colore specifico per il sesso del bambino per vendere il doppio (o quasi) dei vestitini. Tuttavia inizialmente, come testimoniato dalle riviste di settore dei primi ‘900, il rosa era il colore associato ai maschietti in quanto “forte e deciso”, mentre il blu era più adatto alle bimbe perché “delicato e grazioso”.

Dopo la parentesi femminista anni 70/80, che ha cresciuto ragazze che vestivano unisex ed erano fiere di essere considerate “maschiacce” (tuttora moltissime donne adulte rivendicano di essere state bambine ribelli), è cominciata quella che possiamo chiamare “ipergenderizzazione” dei prodotti per bambini: dall’ovetto di cioccolato, ai giocattoli, ai vestiti, la quasi totalità degli articoli viene proposta in versione “da maschio” e “da femmina”. Da mamma di bambina non conforme, posso dirvi che fino a pochi anni fa era praticamente impossibile trovare nel reparto di abbigliamento da bambina una maglia senza un tocco di rosa o di glitter.

Come dicevamo però, non è sempre stato così. 

Uno dei fattori scatenanti della “ribellione gender” dei giovanissimi deve essere stata l’esasperazione, da parte del mercato e della pubblicità, della differenziazione precoce del mondo infantile, che ha marchiato col fucsia qualsiasi aspetto della vita delle bambine, e con l’azzurro l’esistenza dei maschietti.

Come ho risposto all’osservazione di mia figlia? Che è vero: questa del rosa e dell’azzurro è una storia che ha stufato. 

Le ho chiesto però di ragionare sul fatto che le spinte opportunistiche che hanno dato il via all’ipergenderizzazione di qualsiasi aspetto del consumo, e che hanno fatto sì che chiunque abbia preferenze diverse dalla media delle altre femmine o degli altri maschi finisse a sentirsi continuamente “non conforme” (“maschiaccio” o “effemminato”), sono le stesse che ora istillano il dubbio -in chi non si adegua agli stereotipi di genere- di essere nato nel corpo sbagliato e promuovono la (profittevolissima) soluzione del “cambio sesso”.

Alla fine, quello che conta è sempre vendere di più.

Articolo scritto da Benedetta

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