“Includermi fuori”. L’ombrello transgender non offre riparo ai transessuali

Nostra traduzione di un articolo pubblicato su Gender Clinic News il giorno 1 settembre 2023

di Tired Transsexual* (Transessuale Stanco)

Quando ho incontrato per la prima volta la “comunità trans”, ero convinto che si fondasse sull’accettazione, la comprensione e la compassione. Che fosse un rifugio sicuro per le persone come me – transessuali, colpiti dalla disforia, che intraprendevano il viaggio incredibilmente complesso e del tutto personale della riassegnazione del sesso. Purtroppo, nel corso del tempo, ho visto questa comunità trasformarsi progressivamente in una vetrina di ciò che può solo prendere il nome di narcisismo sociopatico, che strumentalizza le problematiche delle persone transessuali a suo piacimento, e nutre una preoccupante ostilità verso chiunque si rifiuti di conformarsi alla sua contorta narrativa.

Per prima cosa vorrei chiarire cosa intendo con “narcisismo sociopatico”. La sociopatia e il narcisismo sono entrambi disturbi della personalità caratterizzati da mancanza di empatia, senso di superiorità e disinteresse per i sentimenti e i diritti degli altri. Attribuisco questa terminologia al movimento trans, perché lo trovo un sistema che privilegia l’espressione personale e l’affermazione individuale rispetto al benessere collettivo e alla realtà.

È un sistema che sostiene l’auto-identificazione al posto delle realtà biologiche e psicologiche, invalidando così le esperienze dei transessuali che soffrono di disforia sessuale. È un sistema che scambia le difficoltà di una minoranza per il desiderio di auto-definizione incontrastata della maggioranza, vanificando la lotta per la protezione legale e l’assistenza medica di cui i transessuali hanno disperatamente bisogno. È un sistema che confina noi transessuali nella stessa categoria dei travestiti, dei drag performer e dei feticisti, il che finisce per stigmatizzarci ed emarginarci ulteriormente. Un sistema che tiene maggiormente alla convalida sociale delle “identità non binarie” piuttosto che al sostegno al benessere delle persone transessuali che sostiene di rappresentare.

Noi, che dovremmo essere in prima linea nel movimento trans, veniamo invece messi da parte, messi a tacere o addirittura diffamati se osiamo contestare l’ideologia. Veniamo etichettati come “feccia transessuale”, “transmedicalisti” e con altri termini dispregiativi, solo perché osiamo dire che le nostre esperienze sono da ricondursi a una condizione medica che non abbiamo scelto e che ci causa grave sofferenza, non certo ad un concetto di genere fluido o ad una contestazione delle norme sociali.

“Il mio soprannome (Transessuale Stanco) esprime la frustrazione di dovermi destreggiare in un mondo che spesso fraintende o mal rappresenta le persone transessuali, e non un fallimento personale. L’instancabile ricerca di un po’ di chiarezza in mezzo a tanta ignoranza non è un compito mio, ma di tutti noi. Se sono sfinito, è perché sollevo i pesi massimi in dibattiti che la maggior parte delle persone preferirebbe evitare. E se per voi è estenuante assistervi, immaginate viverlo.”

Tweet di Tired Transsexual, 30 agosto 2023

Veniamo insultati e offesi per aver richiesto e ottenuto trattamenti medici, che per molti di noi sono questione di sopravvivenza. Veniamo messi a tacere se sottolineiamo le caratteristiche sostanziali che ci differenziano dagli individui non disforici che si fregiano dell’etichetta trans. Veniamo accusati di essere esclusivisti, di essere gatekeeper, quando in realtà chiediamo solo rispetto e riconoscimento per le nostre particolari difficoltà. Le stesse persone che dichiarano di tenere a noi più di chiunque altro, ci negano il diritto di dare voce alla nostra esperienza e alle nostre esigenze specifiche, e questo ci sconforta profondamente e ci fa sentire senza speranze.

Una conseguenza altrettanto grave di questo “ombrello trans” e dell’ideologia di genere si riscontra nella pediatria. Convinzioni errate e direttive inadeguate indirizzano a prendere decisioni irreversibili per le vite di bambini non conformi al genere, che non necessariamente accusano un reale disagio per il loro sesso, ma che sono stati indotti a valutare la terapia di riassegnazione del sesso con il pretesto di “affermare il loro genere”. Non possiamo ignorare la gravità di questo tema e delle future implicazioni per chiunque faccia parte del sempre più ampio ombrello trans. 

Per i lettori che non hanno familiarità con questo ginepraio, consideriamo le possibili ripercussioni. Non appena la società si renderà finalmente conto del livello di danni che si stanno producendo, la reazione potrebbe ripercuotersi ben oltre le cliniche pediatriche di genere e i gruppi di attivisti della teoria queer, con ripercussioni sul sostegno dell’opinione pubblica alle persone LGB e T – lesbiche, gay, bisessuali e transessuali – che non si sono mai sognate di avanzare simili richieste.

“Molti transessuali temono che i minori non siano nelle condizioni di poter dare il consenso informato in un’epoca in cui la non conformità di genere e la transessualità sono state intenzionalmente mescolate col termine transgender”.

La preoccupazione dei transessuali sulla transizione in età pediatrica riguarda diversi aspetti. Chi di noi si è sottoposto a trattamenti ormonali e interventi chirurgici di riassegnazione del sesso, sa bene che si tratta di un percorso arduo e irreversibile. Molti temono che i minori non siano nelle condizioni di poter dare il consenso informato in un’epoca in cui la non conformità di genere e la transessualità sono state intenzionalmente mescolate col termine “transgender”, e nella quale la transizione medica è stata reclamizzata come un modo per raggiungere l“euforia di genere” anche detta “gioia trans”, piuttosto che un mezzo per ridurre il malessere e ottenere un minimo di normalità.

In aggiunta, molte persone transessuali ritengono che i nati maschi e le nate femmine dovrebbero essere gestiti diversamente nella fase di accertamento diagnostico sulla base delle differenze osservabili nell’eziologia – le femmine adolescenti prevalgono nella categoria ad alto rischio della “disforia di genere a esordio rapido” – e delle maggiori difficoltà di “annullare” gli effetti della maturazione puberale maschile quando si intraprende la transizione medica.

Anche se c’è chi auspica un divieto assoluto del trattamento in età pediatrica, questo punto di vista è tutt’altro che universale tra i transessuali. Molti di noi temono che un simile divieto darebbe slancio a chi vorrebbe bannare del tutto gli interventi di riassegnazione del sesso, creando così un pericoloso effetto domino e una grave minaccia per le nostre vite.

In sostanza, l’opinione prevalente tra i transessuali non è contraria alle cure pediatriche in sé, ma contesta il paradigma medico in cui la definizione clinica di “disforia di genere” è stata ormai svincolata dal conflitto sul sesso che viviamo noi. A nostro avviso, l’annacquamento e la genderizzazione dei codici diagnostici (DSM e ICD) è un errore gravissimo. In precedenza, queste classificazioni riconoscevano il transessualismo come una condizione di disagio legato alle caratteristiche sessuali. Attualmente il transessualismo non è nemmeno più una diagnosi, e la vera natura del disagio è stata oscurata dalle politiche identitarie.

Come transessuali, sosteniamo che il modello diagnostico psicosociale debba essere in linea con la  concezione neurobiologica emergente della disforia, con un focus primario sulla percezione sessuale del proprio corpo, non sulla propria conformità ai ruoli di genere.

Non solo la mia esperienza è molto più in linea con la vecchia categoria diagnostica del transessualismo, ma anche con la controversa teoria di Stephen Gliske del 2019, che vedeva la disforia come una condizione di percezione sensoriale non dovuta a un dimorfismo sessuale cerebrale, ma che origina dai meccanismi profondi con i quali il nostro il cervello mappa il nostro senso di sé, connotato da comportamenti primari atipici rispetto al sesso, percezione e disagio per il proprio corpo sessuato, paura e angoscia. Purtroppo l’articolo del dottor Gliske è stato ritirato da eNeuro nel 2020, in seguito a un’aggressiva campagna sostenuta da attivisti contro la rivista. 

Attualmente, i transessuali sono una minoranza sessuale così emarginata che la nostra esistenza non merita nemmeno una menzione nelle ultime linee guida dell’American Psychological Association sulle minoranze sessuali, mentre “transgender” è definito come un termine ombrello pressoché illimitato. Dando questa definizione di “transgender”, le linee guida attestano che non sia sinonimo della parola “transessuale”, ma allo stesso tempo abbandonano intenzionalmente questa rilevante distinzione, cancellando un termine (transessuale) che una volta dava visibilità, riconoscimento e considerazione alla nostra particolare condizione medica e realtà biologica. 

Come farà la comunità medica fornirci le cure di cui abbiamo bisogno, se stiamo scomparendo dalle linee guida che disciplinano tali cure? Come faremo noi transessuali a prender parte a un dibattito autentico e rilevante sulla nostra assistenza sanitaria, sui nostri diritti, sulle nostre vite, quando la nostra stessa identità ci viene sottratta senza interpellarci?

“L’ombrello inclusivo transgender ha, paradossalmente, lasciato i transessuali fuori, sotto la pioggia”.

Il movimento trans, nella sua ricerca dell’inclusività, è diventato terreno fertile per il diritto all’egocentrismo. Ha completamente perso di vista il suo scopo iniziale – difendere i diritti e il benessere dei transessuali – e si è trasformato in un “liberi tutti” dove qualsiasi limite è visto come oppressivo, e in cui i vissuti e le esperienze dei veri transessuali vengono messi da parte dall’ideologia di genere (ovvero l’idea che “l’identità di genere” sia un tratto universale, e non specifico delle persone coinvolte dal transessualismo). L’inclusivo ombrello transgender ha, paradossalmente, lasciato i transessuali fuori, sotto la pioggia.

C’è un urgente bisogno di riappropriarci della nostra visione, di riportare l’attenzione alla realtà dell’essere transessuali. Come società, dobbiamo contrastare il narcisismo sociopatico che si è impadronito del movimento trans, e ristabilire uno spazio specifico dedicato alla comprensione, all’empatia e alla tutela dei diritti e del riconoscimento dei transessuali. Qui non si tratta di lottare per un concetto astratto e sempre più esteso di identità. Si tratta di una battaglia per il nostro diritto di esistere, di ricevere le cure mediche di cui abbiamo bisogno e di vivere la nostra vita, senza essere inghiottiti da un ombrellone trans onnicomprensivo che cancella la nostra identità, privandoci del giusto linguaggio che ci serve per dare voce alla nostra esperienza. È una lotta per l’accettazione, e non come identità, ma come esseri umani con vissuti, difficoltà e bisogni specifici dovuti a cause reali. Siamo transessuali e meritiamo di essere visti, ascoltati e rispettati come tali.

Affibbiarci l’etichetta transgender è un tentativo di cancellare la nostra storia, e significa appropriarsi delle nostre vite, negare le nostre esperienze e violare la nostra stessa anima. Ora basta.

* Tired Transsexual è lo pseudonimo di un transessuale maschio-femmina anglo-americano che vive nel Regno Unito. Il suo account Twitter è  @tiredtransmed

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