Ripensare la soppressione puberale: l’analisi del Dr Biggs di Oxford
Nel mese di ottobre 2025 l’Oxford University Research Archive ha pubblicato la relazione che il sociologo Michael Biggs dell’University of Oxford ha presentato alla Medico-Legal Society di Londra nel febbraio 2025. Il suo contributo, denominato “History of and Evidence for Puberty Suppression as Intervention for Children Experiencing Gender Dysphoria” e destinato a ridefinire il dibattito sulla soppressione puberale nei minori con disforia di genere, offre una ricostruzione storica rigorosa e un’analisi empirica dettagliata di uno degli interventi più controversi della medicina contemporanea.
Di seguito proponiamo gli aspetti principali evidenziati dalla relazione del Dr. Biggs.
Biggs si distingue per un approccio documentato, critico ma non ideologico, volto a chiarire le basi storiche, metodologiche e cliniche dell’uso degli agonisti del GnRH (GnRHa), comunemente noti come “bloccanti della pubertà”, e a valutarne i reali effetti psicologici, fisici ed etici.
Origini e diffusione del “protocollo olandese”
La soppressione puberale come trattamento per la disforia di genere ha origine nei lavori pionieristici di Peggy Cohen-Kettenis e Henriette Delemarre-van de Waal presso la clinica di Amsterdam negli anni ’90. Biggs ricostruisce con precisione l’origine del cosiddetto “protocollo olandese” (“Dutch Protocol”), basato sull’impiego di agonisti dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRHa) per arrestare lo sviluppo puberale in adolescenti con disforia di genere. L’obiettivo iniziale era duplice: ridurre l’ansia associata allo sviluppo dei caratteri sessuali secondari e offrire tempo di riflessione prima di eventuali trattamenti ormonali o chirurgici.
Tale approccio, inizialmente supportato da un singolo caso clinico (Cohen-Kettenis & van Goozen, 1998), fu replicato in studi longitudinali, condotti su un piccolo campione altamente selezionato (n=55), che hanno rappresentato per anni la principale base empirica per l’adozione internazionale del modello, incluso nel 2009 nelle linee guida dell’Endocrine Society (Hembree et al., 2009), divenendo rapidamente il modello di riferimento internazionale (Delemarre-van de Waal & Cohen-Kettenis, 2006).
Biggs (2025) sottolinea tuttavia che il successo apparente di tali risultati derivava da un campione omogeneo e strettamente supervisionato, in condizioni non replicabili nei contesti clinici successivi. Con l’espansione del modello a popolazioni più ampie e diversificate — in particolare adolescenti femmine e soggetti con comorbidità psichiatriche — sono emerse evidenze meno incoraggianti.
Le evidenze empiriche sul blocco della pubertà: limiti metodologici e nuove analisi
Nel Regno Unito, il Gender Identity Development Service (GIDS) del Tavistock and Portman NHS Trust ha introdotto il trattamento nel 2011. Tuttavia, già nel 2020, uno studio prospettico condotto su 44 adolescenti trattati con GnRHa (Carmichael et al., 2021) non ha riscontrato miglioramenti significativi del benessere psicologico rispetto alla baseline.
Biggs (2020) ha analizzato criticamente i dati dello stesso trial, pubblicando su Archives of Sexual Behavior un’analisi indipendente che ne ha evidenziato la mancanza di controllo, la ridotta dimensione campionaria e la selezione dei partecipanti, concludendo che «non vi è alcuna prova robusta che la soppressione puberale migliori la salute mentale».
Analogamente, la Cass Review (2024) ha confermato che le evidenze disponibili sono “deboli e incerte”, raccomandando un ritorno a un approccio prudente e basato su prove. Biggs richiama anche i risultati di studi più recenti (Bragge et al., 2024; Taylor et al., 2024) che mostrano la presenza di un forte rischio di bias, campioni limitati e assenza di follow-up a lungo termine, elementi che impediscono di concludere che i bloccanti riducano la disforia o il rischio suicidario.
Effetti collaterali e rischi biologici della soppressione della pubertà
Un punto centrale dell’analisi di Biggs riguarda gli effetti fisiologici avversi del blocco puberale. Diversi studi hanno documentato ridotta densità minerale ossea durante il trattamento (Klink et al., 2015; Schagen et al., 2020), con incertezze sul completo recupero dopo l’introduzione degli ormoni cross-sex. Inoltre, gli effetti neurocognitivi e sessuali della soppressione ormonale in età adolescenziale rimangono in larga parte sconosciuti (Baxendale, 2024).
Biggs (2021) osserva inoltre che la presunta “reversibilità” dell’intervento è in realtà priva di solide evidenze sperimentali sull’uomo. Anche i dati longitudinali suggeriscono che oltre il 95% dei giovani che iniziano i bloccanti proseguono con gli ormoni cross-sex (Brik et al., 2020; Wiepjes et al., 2018), configurando il blocco non come una “pausa esplorativa”, ma come il primo passo irreversibile di una transizione medica.
La questione del suicidio e della salute mentale
Uno degli argomenti più frequenti a sostegno della soppressione puberale è la presunta funzione preventiva del suicidio. Tuttavia, Biggs (2025) ricorda che questa tesi deriva principalmente da un solo studio retrospettivo statunitense (Turban et al., 2020), metodologicamente debole e non interpretabile in senso causale.
Dati di coorte più recenti provenienti da Finlandia e Svezia (Ruuska et al., 2024; Dhejne et al., 2011) mostrano invece che i tassi di suicidio sono correlati alla gravità dei disturbi psichiatrici concomitanti, non al mancato accesso a trattamenti di affermazione di genere. Biggs evidenzia che ridurre il suicidio a una variabile “di genere” rischia di oscurare le complesse cause multifattoriali del disagio adolescenziale, che includono ansia, depressione, trauma e isolamento sociale.
Dimensione etica e implicazioni per la pratica clinica
Nel suo intervento, Biggs insiste sul principio ippocratico di non maleficenza, richiamando la responsabilità etica dei clinici nell’evitare interventi irreversibili in presenza di diagnosi incerte o non cliniche. L’autore osserva come la confusione metodologica tra autoidentificazione di genere e disforia clinicamente diagnosticata (cfr. Collin et al., 2016; Goodman et al., 2019) abbia contribuito a una medicalizzazione eccessiva di adolescenti non clinici.
Biggs accoglie con favore il richiamo della Cass Review (2024) e del Comitato Nazionale per la Bioetica italiano (2024) a un modello multidisciplinare, che includa psicoterapia esplorativa, valutazioni psichiatriche e supporto familiare, prima di ogni decisione medica.
Conclusione: verso una medicina basata sull’evidenza e sulla prudenza
L’intervento di Michael Biggs (2025) rappresenta un contributo di rilievo nel processo di revisione critica della medicina di genere. Pur riconoscendo le buone intenzioni che hanno motivato l’introduzione della soppressione puberale, Biggs invita a superare l’approccio ideologico per tornare a una medicina fondata su dati verificabili, follow-up a lungo termine e chiara distinzione diagnostica.
Come ricorda l’autore, la compassione autentica non consiste nel medicalizzare il dubbio, ma nel comprendere la complessità dell’adolescenza.
Il suo lavoro costituisce dunque un appello alla responsabilità scientifica e al rispetto della realtà empirica come fondamento della cura.