Comorbilità ed erogabilità degli ormoni cross-sex a carico SSN: il ruolo dell’équipe multidisciplinare

A partire dalla ormai accertata stretta connessione tra la disforia di genere e altre condizioni psicologiche o psichiatriche, questo approfondimento richiama all’importanza di un approccio clinico che, come raccomandato dalla recente letteratura scientifica, consideri le comorbilità per evitare un’assistenza inadeguata, e garantire invece un supporto clinico e psicologico mirato per ridurre i rischi (ad esempio il rischio suicidio) associati a queste condizioni.

Anche da un punto di vista formale, l’accertamento delle comorbilità interferenti da parte di un’équipe multidisciplinare è requisito espressamente disposto dalle Determine AIFA per poter prescrivere gratuitamente i farmaci bloccanti della pubertà e gli ormoni cross-sex. La corretta composizione di suddetta équipe di specialisti (endocrinologo, psichiatra o neuropsichiatra, psicologo) diventa dunque un tema cruciale, che non può e non deve essere lasciato a libera interpretazione, come sembra avvenire in alcune regioni.


Disforia di genere e comorbilità

La letteratura scientifica internazionale è ormai concorde nel ritenere che alcune comorbilità come l’ASD (Disturbi dello Spettro autistico), l’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività), l’ansia sociale, la depressione e le patologie connesse a disturbi alimentari sono comuni nei giovani con disforia di genere. 

Pensare alla disforia di genere come condizione a sé stante, che può essere trattata senza considerare le condizioni di comorbilità, rappresenta un approccio riduzionistico, che conduce a fornire un’assistenza inadeguata ai giovani disforici. Le condizioni di comorbilità spesso si sovrappongono e si intersecano, esternando sintomi che devono essere valutati tenendo conto sia del contesto di vita del giovane disforico, sia della sua storia clinica personale. Una buona assistenza clinica dovrebbe quindi includere un’esplorazione completa del vissuto personale e una valutazione di come queste diverse condizioni di comorbilità si intersechino con l’esperienza di genere del giovane.

Correlazione fra disforia e autismo

Fra tutte le comorbilità connesse alla condizione disforica, il dato relativo all’autismo risulta essere particolarmente interessante, in quanto evidenzia una profonda correlazione con la disforia di genere.

Lo studio denominato “Assessment and support of children and adolescents with gender dysphoria”[1] (2018) ha infatti verificato dai dati provenienti dal GIDS inglese (Gender Identity Development Service) che il 35% dei bambini disforici soffre di autismo da moderato a grave[2]. Se a tale percentuale si sommano i bambini affetti da autismo lieve, si può notare come il dato assuma un rilievo molto significativo. 

Questa radicata correlazione fra le due condizioni è confermata dal recente studio denominato “Shifts in Gender-Related Medical Requests by Transgender and Gender-Diverse Adolescents”[3] (2023), effettuato su una platea di giovani statunitensi con diversità di genere che si sono rivolti al Children’s National Hospital, il quale ha rilevato che il 47% di costoro aveva una diagnosi accertata di autismo

Se a questa platea con diagnosi conclamata si aggiungono tutti quei giovani disforici nei quali la sindrome autistica non viene nemmeno cercata e diagnosticata, è evidente come la percentuale di adolescenti disforici affetti da autismo raggiunga livelli davvero significativi.

È per tale motivo che, opportunamente, il National Board of Health and Welfare svedese (NBHW) nel 2022[4] ha invitato le autorità sanitarie a “cercare sistematicamente i segni del disturbo dello spettro autistico (ASD) e dell’ADHD/ADD prima o nella fase iniziale della valutazione” della disforia di genere, concludendo che “in caso di segni di ASD, deve essere avviata una valutazione neuropsichiatrica”[5].

In alcuni importanti studi sulla sindrome autistica, si afferma che “l’autismo stesso contribuisce al suicidio oltre ad altri fattori”[6] e che “la scoperta sorprendente è l’altissima prevalenza di ADHD tra i ragazzi con tendenze suicide[7]”. “Per assicurare alle persone autistiche un supporto clinico e sociale su misura al fine di ridurre i rischi di suicidio si dovrebbero considerare una pluralità di fattori, facendo particolare attenzione alla prevenzione e al trattamento tempestivo delle malattie psichiatriche[8].

Ebbene, in un quadro così complesso, in cui le comorbilità si intersecano e si sovrappongono, risulta molto problematico distinguere, ad esempio, se l’ideazione suicidaria di un adolescente trans-identificato sia dovuta alla disforia di genere o a condizioni concomitanti come l’autismo, soprattutto dopo un numero esiguo di sedute psicoterapeutiche, spesso concentrate esclusivamente sull’affermazione dell’identità di genere. 

Gli ultimi studi del 2024

Il quadro innanzi rappresentato ha trovato recente conferma anche negli ultimi studi pubblicati nel 2024. Il primo, denominato “Development of Gender Non‑Contentedness During Adolescence and Early Adulthood[9], riepiloga il quadro degli studi esistenti in merito, affermando quanto segue: “Inoltre, studi precedenti su campioni clinici di individui con disforia di genere hanno rilevato tassi elevati di problemi di salute mentale (Dhejne et al., 2016), problemi comportamentali ed emotivi (de Vries et al., 2016) e disturbi dello spettro autistico (Kallitsounaki & Williams, 2023)”[10]. “L’insoddisfazione verso il proprio genere è stata precedentemente associata a problemi di salute mentale (Potter et al., 2021) e la disforia di genere clinica è stata segnalata come concorrente con diversi problemi psichiatrici, come la depressione e i disturbi d’ansia, i disturbi alimentari e il disturbo dello spettro autistico (Bechard et al., 2017; Dhejne et al., 2016; Donaldson et al., 2018; Holt et al., 2016)”[11].

Anche uno studio tedesco pubblicato nel 2014 e denominato “Störungen der Geschlechtsidentität bei jungen Menschen in Deutschland: Häufigkeit und Trends 2013–2022[12], nell’analizzare le comorbilità nei giovani germanici con disturbi dell’identità di genere nel periodo dal 2013 al 2022, ha riscontrato la seguente situazione: “Almeno una diagnosi psichiatrica aggiuntiva è stata codificata per il 72,4% delle persone con diagnosi F64 (disforia di genere, ndr) nel 2022 (n = 24.624) (maschi: 67,3%, femmine: 75,6%). I più comuni erano disturbi depressivi (maschi: 49,3%, femmine: 57,5%), disturbi d’ansia (23,5%/34,0%), disturbi di personalità emotivamente instabile di tipo borderline (12,1%/17,6%), disturbo da deficit di attenzione/iperattività (12,7%/12,6%) e disturbo da stress post-traumatico (9,9%/13,6%)”[13]Preso atto di ciò lo studio conclude con la seguente raccomandazione: “Nel frattempo, quando si raccomanda l’inizio della terapia di riassegnazione di genere in adolescenza si dovrebbe tenere conto della stabilità della diagnosi e dell’elevata prevalenza dei disturbi mentali associati[14].

La Cass Review sulle comorbilità

A seguito degli scandali che hanno coinvolto il Gender Identity Development Service (GIDS) presso la clinica londinese gestita dal Tavistock and Portman NHS Foundation Trust, dove molti giovani sarebbero stati avviati alla transizione senza indagare le comorbilità psichiatriche concomitanti, nel 2020 l’NHS England e l’NHS Improvement hanno commissionato alla Dr.ssa Hilary Cass, ex presidente del Royal College di Pediatria e Salute Infantile, una revisione indipendente dei servizi di identità di genere per bambini e giovani.  Il rapporto, redatto in collaborazione con l’Università di York è stato licenziato nel marzo 2022 nella versione intermedia e il 10 aprile 2024 in quella finale.

In merito alla complessa relazione fra disforia di genere e comorbilità la Cass Review[15] certifica quanto segue: “Le discussioni nel capitolo 11 hanno affrontato la questione se i problemi di salute mentale possano essere causati dalla disforia di genere e dallo stress minoritario o se in alcuni casi una serie di esperienze infantili avverse e di fattori di stress possano portare a disagio legato al genere. Indipendentemente dalla causalità, l’attenzione dovrebbe concentrarsi sul trattamento di tutti i bisogni del giovane, piuttosto che aspettarsi che il solo trattamento ormonale risolva la malattia mentale di lunga data. Questo punto è illustrato in un recente articolo australiano (Elkadi et al., 2023), che ha esaminato i risultati di una coorte clinica di giovani, 4-9 anni dopo la presentazione.  Alla valutazione iniziale 70 su 79 (88,6%) hanno ricevuto diagnosi di comorbilità di salute mentale o hanno mostrato altri indicatori di disagio psicologico Laddove erano disponibili dati di follow-up, 44 partecipanti su 50 (88,0%) hanno segnalato problemi di salute mentale[16].

La Cass Review prosegue analizzando gli studi effettuati dalla comunità scientifica dei paesi nordeuropei: “Sono stati pubblicati recenti studi nazionali basati su registri provenienti da Finlandia e Danimarca che esaminano i bisogni di salute mentale delle persone che si presentano ai servizi specialistici di genere prima e dopo il trattamento[17]. Lo studio  basato  su  un  registro  nazionale  danese  su  3.812  persone  transgender  ha  esaminato  una  serie  di  risultati  nelle  cartelle  cliniche  di  routine  rispetto  ai  controlli  di  pari  età  (Glintborg  et  al.,  2023)…   Al  basale,  le  persone  transgender  avevano  cinque volte  più  probabilità  rispetto  ai  controlli  di  avere  disturbi di  salute  mentale…. Lo  studio  finlandese  (Russka  et  al.,  2024)  ha identificato  3.665  individui  tra  il  1996  e  il 2019.  Anche  in questo  caso  si  trattava  di  un  gruppo  misto  di  bambini,  giovani e  adulti.  Il  gruppo  con  disforia  di  genere  aveva  ricevuto  molte volte  più  trattamenti  psichiatrici  di  livello  specialistico,  sia prima  che  dopo  aver  contattato  i  servizi  di  genere,  rispetto ai  controlli  corrispondenti.  Nel periodo  2016-2019  si  è  verificato  anche un  marcato  aumento  nel  tempo  dei  bisogni  psichiatrici rispetto  al periodo 1996-2000.  La necessità  di  supporto psichiatrico  persisteva,  indipendentemente  dal  trattamento  di  affermazione  del  genere”[18].

La Cass Review conclude la propria disamina nel seguente modo: “In sintesi,  sia  i  giovani  che  gli  adulti  che presentano  disforia  di  genere  hanno  spesso  complessi  bisogni  aggiuntivi  di  salute  mentale[19].

Il preventivo accertamento delle comorbilità e il caso della triptorelina

In un quadro talmente complesso, nel quale le interferenze fra sentimento disforico e stato di salute mentale sono molteplici, la questione della valutazione delle comorbilità assume una evidente rilevanza sostanziale al fine di garantire all’assistito una cura completa e adeguata ai propri disagi, ma anche rilevanza prettamente formale, laddove sia prevista da norme di legge o da specifiche determine come requisito indefettibile per la ricorrenza delle situazioni normate o disciplinate.

Si veda a titolo di esempio la Determina AIFA n. 21756/2019, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 2 marzo 2019, con la quale la triptorelina viene inclusa per la prima volta “nell’elenco dei medicinali erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale istituito ai sensi della legge 23 dicembre 1996, n. 648…, per l’impiego in casi selezionati in cui la pubertà sia incongruente con l’identità di genere (disforia di genere), con diagnosi confermata da una équipe multidisciplinare e specialistica e in cui l’assistenza psicologica, psicoterapeutica e psichiatrica non sia risolutiva”.

Requisito prodromico alla prescrizione e somministrazione della triptorelina, nei casi in cui la pubertà sia incongruente con l’identità di genere, è quindi la preliminare adozione di un trattamento psicologico, psicoterapeutico e psichiatrico sufficientemente prolungato in modo da poterne determinare l’eventuale inefficacia. Tale prescrizione prevede pertanto espressamente che lo strumento primario di intervento non sia la terapia ormonale, bensì il trattamento psicologico, psicoterapeutico e psichiatrico, il quale, evidentemente, può fornire anche da solo esiti risolutivi, come previsto dalla stessa delibera AIFA. 

Fra i criteri di inclusione stabiliti dalla determina ai fini dell’erogabilità, inoltre, viene inserita la “stabilizzazione di eventuali psicopatologie associate o problematiche mediche potenzialmente interferenti con l’iter diagnostico o terapeutico della disforia di genere”, testimoniando in tal modo non solo la necessità di una assistenza psicologica, psicoterapeutica e psichiatrica, ma anche la necessità di una valutazione che attesti l’assenza di psicopatologie interferenti.

Le determine AIFA per l’erogabilità delle terapie ormonali cross-sex a carico del Servizio Sanitario Nazionale

In coerenza con la determina riguardante la somministrazione della triptorelina in ambito puberale, a partire dal 1° ottobre 2020, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), con le Determine n. 104272/2020 e n. 104273/2020, ha stabilito i criteri per l’erogabilità delle terapie ormonali sostitutive per persone in transizione a totale carico del SSN (GU Serie Generale n. 242 del 30-09-2020). 

La prima Determina n. 104272/2020 riguarda i medicinali testosterone, testosterone undecanoato, testosterone entantato, esteri del testosterone, utilizzati per l’impiego nel processo di virilizzazione di uomini transgender. 

La seconda Determina n. 104273/2020 riguarda i medicinali estradiolo, estradiolo emiidrato, estradiolo valerato, ciproterone acetato, spironolattone, leuprolide acetato e triptorelina, utilizzati per l’impiego nel processo di femminilizzazione di donne transgender.

Ai fini dell’erogabilità di tali farmaci a carico del SSN, le Determine prevedono la sussistenza di una serie di condizioni, fra le quali se ne segnalano due in particolare, la prima riguardante l’esistenza di una diagnosi di disforia di genere e la seconda l’insussistenza di psicopatologie associate interferenti con l’iter diagnostico o terapeutico.

La diagnosi di disforia di genere e l’accertamento di eventuali comorbilità psicologiche 

Se l’accertamento delle comorbilità interferenti è un requisito espressamente disposto dalle determine AIFA per poter prescrivere gratuitamente i farmaci ormonali, occorre individuare quale sia il professionista incaricato di redigere la diagnosi di disforia di genere e di individuare eventuali psicopatologie esistenti. 

In proposito l’art. 2 della Determina n. 104272/2020 (ormoni mascolinizzanti) dispone che l’erogabilità a carico del SSN di tali farmaci è ammessa, “previa diagnosi di disforia di genere/incongruenza di genere formulata da una équipe multidisciplinare e specialistica dedicata, nel rispetto delle condizioni per esso indicate nell’allegato 1 che fa parte integrante della presente determina”. 

Allo stesso modo dispone la Determina n. 104273/2020 (ormoni femminilizzanti), la quale ammette l’erogabilità a carico del SSN, “previa diagnosi di disforia di genere/incongruenza di genere formulata da una équipe multidisciplinare e specialistica dedicata, nel rispetto delle condizioni per esso indicate nell’allegato 1 che fa parte integrante della presente determina”.

Tenuto conto entrambe le determine rinviano al rispetto delle condizioni contenute nei rispettivi allegati, si riporta di seguito quanto in essi contenuto.

L’allegato 1 della Determina n. 104272/2020 (ormoni mascolinizzanti) prevede fra le cause di inclusione la seguente dicitura: “Diagnosi di disforia di genere/incongruenza di genere secondo i criteri DSM 5 (APA, 2013) o ICD-11 (WHO, 2018), confermata da una équipe multidisciplinare e specialistica”.

La medesima identica dicitura è riportata anche negli allegati n. 1, n. 2. N. 3 e n. 4 della Determina n. 104273/2020 (ormoni femminilizzanti).

Da quanto sopra si può quindi rilevare come sia richiesta una duplice condizione. La prima condizione è che esista una diagnosi di disforia di genere e la seconda è che tale diagnosi sia “formulata” o “confermata” da una équipe multidisciplinare e specialistica appositamente dedicata.

Il richiamo al concetto di “conferma” racchiude in sé un duplice passaggio, consistente nella validazione di una diagnosi precedentemente “formulata” da altro soggetto, il quale non può che essere un professionista autorizzato e quindi uno psicologo o uno psichiatra. Per come sono enunciate le determine non pare sufficiente procedere alla prescrizione dei farmaci sulla scorta della sola diagnosi formulata da un singolo professionista della salute mentale, mancando il passaggio relativo alla “conferma” da parte dell’équipe multidisciplinare. Se così non fosse, il concetto di “conferma” sarebbe assolutamente pleonastico.

Per quanto riguarda invece l’accertamento delle eventuali psicopatologie esistenti occorre fare qualche precisazione.

Il rapporto fra diagnosi psicologica e diagnosi psichiatrica nel nostro paese è da sempre controverso. Per meglio esplicitarne i contorni si richiama quanto riportato dalla Consulta Psicoforense dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte nel documento informativo “Lo psicologo e l’atto diagnostico: contesto clinico e contesto forense[20].

In tale documento si legge che la diagnosi psicologica “è un giudizio clinico teso a valutare aspetti e processi della personalità, modalità relazionali, livelli di competenze cognitive, struttura della personalità, e in genere a descrivere le funzioni psichiche del soggetto, normali e patologiche. È una sorta di “mappatura” del funzionamento psichico che si traduce in una descrizione narrativa il più possibile sistematica e deve rispondere sia a requisiti di specificità (che cosa caratterizza quel dato individuo) sia di generalizzabilità (che cosa ha in comune quell’individuo con altri che presentano caratteristiche simili). Tale diagnosi è effettuata unicamente con strumenti tipici (non esclusivi) della professione di psicologo, quali il colloquio clinico, l’osservazione, la somministrazione di test di personalità o di livello”.

Al contrario “intendiamo con diagnosi psichiatrica il giudizio clinico consistente nel riconoscimento o nell’esclusione di una condizione morbosa dell’apparato psichico, tendente a un inquadramento nosologico della patologia riscontrata, secondo i criteri stabiliti dalle classificazioni internazionali. Tale diagnosi è effettuata attraverso il colloquio clinico, l’osservazione e con la somministrazione di test e di altri strumenti di indagine di competenza medica”.

Il confine fra le competenze delle due figure professionali è in realtà molto labile e da sempre oggetto di dibattito. Nonostante alcuni pareri autorevoli ritengano che lo psicologo possa diagnosticare la psicopatologia nell’ambito delle competenze previste dall’art. 1 della L. 56/89 (Gulotta, 2006), ancor oggi la situazione non pare essere definitivamente risolta se è vero che nel febbraio 2022 la direttrice del dipartimento di Salute mentale e delle dipendenze (DSMD) della zona Sud Sardegna, Graziella Boi, ha ribadito davanti al Consiglio Regionale la necessità di “scongiurare il rischio che gli psicologi possano fare diagnosi o somministrare cure psichiatriche, perché questo è espressamente vietato dalla leggeNon è dunque nemmeno pensabile che sia lo psicologo a decidere se un paziente debba o meno andare dallo psichiatra: questa valutazione deve essere lasciata a un medico[21].

Tale dichiarazione ha sollevato un acceso dibattito fra opinioni contrastanti, sicché risulta molto problematico stabilire con certezza l’esatto confine fra le competenze dello psicologo e dello psichiatra.  

Tralasciando quindi l’indagine sull’ambito delle specifiche competenze dei vari professionisti della salute mentale, possiamo cercare di approfondire sia il rapporto fra la formulazione della diagnosi e la conferma da parte dell’équipe multidisciplinare.

In proposito si osserva che sul professionista della salute mentale gravano una serie di adempimenti connessi all’accertamento della condizione disforica, in quanto deve rilevare la presenza di indicazioni e controindicazioni psicopatologiche all’avviso del percorso di analisi, formulare la diagnosi di disforia di genere e la diagnosi differenziale (percorso che, in presenza di sintomi comuni o simili, permette di giungere ad una diagnosi “per esclusione”), valutare il rapporto fra eventuali altri problemi psicologici in comorbilità con la disforia di genere, elaborare un piano terapeutico coinvolgendo, se necessario, altri professionisti. 

Se tale certificazione viene poi utilizzata per ottenere l’erogazione di ormoni a carico dell’SSN, la diagnosi di cui sopra deve essere confermata da una équipe multidisciplinare, per espressa disposizione delle determine AIFA.

Sulla composizione dell’équipe multidisciplinare

La questione della composizione dell’équipe multidisciplinare è uno dei punti centrali della vicenda, in quanto è proprio la presenza di determinati specialisti all’interno dell’équipe che consente di soddisfare pienamente tutte le condizioni introdotte dalla determina per l’erogazione a carico del SSN di tali farmaci. 

A seguito dell’introduzione delle due determine AIFA sopra menzionate, la Regione Veneto ha licenziato il “Decreto del Direttore Generale dell’Area Sanità e Sociale” n. 20 del 2 marzo 2021, pubblicato nel Bur n. 36 del 12/03/2021, con il quale si dispone che “la prescrizione dei farmaci per le indicazioni di cui al punto 1. sia rilasciata esclusivamente dallo specialista endocrinologo e solo previa diagnosi di disforia di genere/incongruenza di genere formulata da un’équipe multidisciplinare e specialistica dedicata, che sia composta da uno specialista in endocrinologia assieme ad uno specialista in psichiatria o ad uno psicologo”. 

Tale disposizione regionale solleva qualche perplessità se letta in coordinato disposto con il documento pubblicato dalla Società di Endocrinologia Italiana nel proprio sito e denominato “Adempimenti psicoendocrinologici e giuridico-legali integrati nella disforia di genere[22], nel quale si riporta quanto segue:

2.2. Aspetti clinici

La domanda di rettificazione di attribuzione di sesso deve essere corredata da una esaustiva documentazione che:

(i) dimostri il sesso biologico dell’individuo.

(ii) dimostri che il sesso cui l’individuo sente di appartenere è diverso da quello biologico con cui è stato riconosciuto alla nascita, e che questa discrepanza genera uno stato d’inquietudine e di malessere (disforia di genere);

(iii) dimostri che l’individuo è fermamente convinto a intraprendere il percorso medico-chirurgico legale finalizzato alla riattribuzione del sesso.

Mentre la prima parte (i) è di pertinenza endocrinologica, la seconda (ii) e la terza parte (iii) sono di pertinenza dello specialista in psicologia clinica e/o psichiatria”.

Da quanto sopra emerge che la diagnosi di disforia di genere, ai fini della rettificazione, non è di pertinenza dell’endocrinologo, il quale interviene eventualmente nella fase iniziale del percorso (“dimostrazione del sesso biologico dell’individuo”) o in quello successivo all’avvenuta diagnosi (valutazione dell’assetto ormonale della persona ed eventuale prescrizione farmacologica). 

Se quindi l’endocrinologo non rilascia diagnosi di disforia di genere, non può nemmeno confermarla, visto che non ha competenza in materia psicologica o psichiatrica. 

E se una équipe multidisciplinare viene costituita da un solo psicologo e da un endocrinologo, l’unico professionista abilitato a “confermare” la diagnosi di disforia all’interno di quell’équipe è il professionista della salute mentale, sicché si arriverebbe al paradosso che quello stesso psicologo si troverebbe magari nell’eventualità di confermare una diagnosi precedentemente formulata da sé stesso. 

Se questo è il quadro corretto, non si comprende appieno il motivo per cui le determine pretendano la conferma di una diagnosi già formulata da un professionista abilitato. Se lo fanno, evidentemente richiedono la costituzione di un’organizzazione più complessa rispetto a quella basica ora rappresentata e posta in essere da alcune Regioni.  

L’équipe multidisciplinare per la triptorelina

Il farmaco triptorelina è richiamato sia nella determina AIFA n. 104273/2020 che riguarda i medicinali femminilizzanti come “estradiolo, estradiolo emiidrato, estradiolo valerato, ciproterone acetato, spironolattone, leuprolide acetato e triptorelina” che nella determina AIFA n. 21756/2019 che riguarda la somministrazione della triptorelina al fine del blocco puberale.

Quest’ultima prevede sostanzialmente gli stessi criteri contenuti della Determina relativa agli ormoni cross-sex e precisamente una “diagnosi di disforia  di  genere  secondo  DSM  5  (APA,  2013) confermata da una équipe multidisciplinare”, nonché  “la stabilizzazione  di  eventuali psicopatologie associate o problematiche mediche potenzialmente interferenti con l’iter diagnostico o terapeutico della DG”.  

Sulla composizione dell’équipe in ambito puberale i riferimenti sono chiari, visto che in proposito si era già espresso il Comitato Nazionale di Bioetica con un parere prodromico all’emanazione della determina, nel quale è stato disposto quanto segue: “Tale trattamento è giustificabile sul piano bioetico in casi particolari, accertati, e valutati, dopo che sia stata effettuata la diagnosi di DG, possibilmente in una fase precoce, da una équipe multidisciplinare e specialistica, composta almeno da un/una specialista in neuropsichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza, endocrinologia pediatrica, psicologia dell’età evolutiva e bioetica”. Con successivo comunicato stampa dell’8 marzo 2019, il Comitato nazionale di bioetica ha ribadito che ai fini della composizione dell’équipe multidisciplinare è necessaria la presenza delle seguenti figure: “neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, endocrinologo pediatrico, psicologo dell’età evolutiva e bioeticista (e non solo di un pediatra che potrebbe non avere la competenza specialistica richiesta)”.

Nonostante tale prescrizione, alcune équipe multidisciplinari sono state composte solamente da uno psicologo e da un endocrinologo. La questione riguardante i membri da inserire nell’équipe che decide sulla somministrazione della triptorelina in ambito puberale ha avuto grande rilevanza nazionale per effetto delle indagini ministeriali attivate presso il Centro per la disforia/incongruenza di genere dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi di Firenze, a seguito delle quali il Ministro della Salute ha sottolineato come il Centro abbia dato un’interpretazione sbagliata dei criteri AIFA relativi all’impiego della triptorelina nei minori. Secondo il Ministero “alcuni casi trattati con triptorelina, dunque, sarebbero stati oggetto soltanto di trattamento psicologico e psicoterapeutico” e non anche psichiatrico. Alla luce di ciò si sarebbe verificato un “non corretto recepimento della determina Aifa n. 21756/2019, con particolare riguardo all’obbligo di esigere necessariamente il supporto psichiatrico per l’avviamento al trattamento con triptorelina”, oltre “ad ulteriori criticità, anche di carattere organizzativo, in ordine al ruolo del neuropsichiatra infantile nell’ambito del percorso di presa in carico e gestione del paziente”.

Secondo il Ministero quindi la composizione dell’équipe multidisciplinare ai fini della somministrazione della triptorelina ai bambini in età puberale deve ricomprendere tutte quelle figure professionali che possano garantire la corretta applicazione della determina e in particolare la presenza di un neuropsichiatra infantile che possa effettuare l’accertamento di eventuali condizioni psichiatriche concomitanti.

Visto che le condizioni di erogabilità a carico SSN della triptorelina sono le medesime sia in ambito puberale che non, risulta difficoltoso comprendere come per il medesimo farmaco possano essere stabiliti criteri diversi a seconda se l’assistito abbia 15 anni oppure 16 e se rientri nella fase del blocco puberale o della transizione, né si comprende per quale motivo la formulazione della diagnosi e la rilevazione di eventuali psicopatologie associate debbano essere necessariamente valutate da uno psichiatra o da un neuropsichiatra in ambito puberale e solamente da uno psicologo per i minori che ricorrono al trattamento ormonale cross-sex. 

Tale ragionamento vale ovviamente per tutti i farmaci contenuti nelle determine del 2020, atteso che se le determine avessero voluto prevedere criteri diversi per gli altri farmaci autorizzati rispetto alla triptorelina (ad es. estradiolo, estradiolo emiidrato, estradiolo valerato, ciproterone acetato, spironolattone, leuprolide acetato) avrebbero dovuto assolvere ad un onere di specifica di differenti criteri che non sono rinvenibili in alcuna sezione.

La presenza dello psichiatra all’interno dell’équipe multidisciplinare

Ulteriori dubbi circa la corretta composizione dell’équipe multidisciplinare prevista da alcune Regioni italiane sorgono esaminando una fonte estremamente rilevante per il panorama clinico italiano, rappresentata dallo studio denominato “Approccio alla persona con disforia di genere: dal modello psichiatrico italiano al modello emergente basato sul consenso informato[23]. Lo studio richiama espressamente la figura dello psichiatra sia ai fini diagnostici che al fine di escludere incompatibilità sul piano psicopatologico: “Perché possa essere avviata la terapia ormonale è in genere sufficiente una certificazione da parte dello psichiatra di una diagnosi di DG e di un’assenza, in atto, di incompatibilità sul piano psicopatologico ad avviare una terapia ormonale”.

Tale autorevole studio analizza nel dettaglio proprio il modello italiano e richiama costantemente la centralità della valutazione psichiatrica, come ulteriore e distinta rispetto a quella meramente psicologica.

Si vedano a titolo di esempio i seguenti stralci:

  • In particolare, verranno illustrati un possibile percorso di transizione basato sul modello medico-psichiatrico strettamente legato alla diagnosi di disforia di genere (il modello italiano) …”
  • I centri che a livello nazionale si occupano dei percorsi di transizione di genere per lo più si basano sugli standard proposti dall’ONIG, l’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere (www.onig.it). In tale contesto è indicato un approccio multi e interdisciplinare con un’integrazione tra diverse figure professionali (psichiatra, psicologo, endocrinologo, chirurgo) cui vengono richieste competenze specifiche e qualificate, data la complessità del fenomeno”.
  • La domanda di rettificazione deve essere presentata al tribunale di residenza del paziente, con concomitante presentazione delle relazioni psicologica, psichiatrica ed endocrinologica…”.
  • “Laddove emergano e vengano diagnosticate concomitanti condizioni psicopatologiche, quindi in presenza di altre diagnosi psichiatriche in comorbilità con la DG, la priorità dovrà essere data al trattamento di queste ultime…”.
  • All’interno della stessa comunità transgender si incontrano punti di vista discordanti rispetto alla legittimità di una diagnosi psichiatrica…”.
  • In molte parti del mondo, infatti, la “transgender-specific care” è coperta da assicurazioni sanitarie che forniscono agevolazioni economiche, ma solo in caso di una diagnosi psichiatricaIn questo senso, l’eliminazione della diagnosi potrebbe produrre l’effetto di considerare gli interventi previsti ai fini della transizione di genere non più “necessari” dal punto di vista medico quanto, piuttosto, interventi meramente di tipo estetico, con potenziale perdita delle agevolazioni economiche e della rimborsabilità da parte del Sistema Sanitario Nazionale. Allo stesso tempo, la diagnosi psichiatrica, quindi l’approccio medico-psichiatrico, potrebbe avere la sua importanza nel facilitare e garantire un supporto psicologico/psichiatrico e un’adeguata diagnosi di eventuali altri disturbi in comorbilità, oltre che per guidare e favorire la ricerca in quest’ambito”.
  • Riassumendo, i vantaggi del modello medico-psichiatrico vengono solitamente individuati nel fatto che tale approccio, che prevede una diagnosi di DG, garantisce l’accesso alle cure per le persone transgender, facilita e garantisce una valutazione e un supporto psicologico e psichiatrico, laddove indicato e necessario, rappresenta una sorta di guida nel prendere decisioni terapeutiche e costruire protocolli di ricerca e infine, nel porre in evidenza la necessità di interventi medici, giustifica, di conseguenza, i costi per tali interventi e la rimborsabilità degli stessi”.

Proprio in riferimento a tale ultimo richiamo al concetto di rimborsabilità dei farmaci, è importante sottolineare come nel caso in questione non si discuta dell’utilizzo della nosografia descrittiva in ambito diagnostico, bensì del solo accertamento dei requisiti al fine dell’erogabilità dei farmaci in questione a totale carico del SSN. 

Prescindendo quindi dalla circostanza, allo stato degli atti non risolvibile, se la diagnosi di psicopatologia e la sua classificazione nosografica siano di esclusiva pertinenza medico-psichiatrica o possano essere poste in essere anche da psicologi, si osserva come lo studio sopra richiamato individui nella diagnosi psichiatrica l’elemento centrale da individuare ai fini della rimborsabilità dei farmaci a carico del SSN.

In linea con tale interpretazione sembrano porsi anche le due Determine AIFA innanzi menzionate, in quanto il richiamo all’équipe multidisciplinare effettuato dalle stesse sarebbe meramente pleonastico se non richiedesse figure professionali ulteriori rispetto a quelle dello psicologo e dell’endocrinologo.

Perché inserire lo psichiatra

Dal quadro sopra rappresentato, ci si chiede se la volontà delle Determine non sia proprio quella di coinvolgere l’intervento dello Stato solo laddove la diagnosi sia stata formulata da un professionista accreditato e confermata da una équipe di specialisti (psicologo, psichiatra, endocrinologo) che vengano coinvolti in tutte le fasi del processo diagnostico, individuando in tal modo un organismo di garanzia terzo a tutela dell’assistito, a cui deve essere assicurato un corretto iter diagnostico, completo di tutti gli approfondimenti previsti dalle Determine. In tale ottica, acquisirebbe senso anche la richiesta che la diagnosi, laddove sia stata “formulata” da un solo specialista (es. psicologo), venga poi “confermata” dall’équipe multidisciplinare, contenente al suo interno anche la figura dello psichiatra, come peraltro riporta lo stesso studio sopra menzionato (“un approccio multi e interdisciplinare con un’integrazione tra diverse figure professionali (psichiatra, psicologo, endocrinologo, chirurgo)”).

Tale ipotesi interpretativa sarebbe inoltre in linea anche con quanto contestato dal Ministero della Salute all’Ospedale Careggi di Firenze, laddove si è lamentata proprio l’assenza di valutazioni neuropsichiatriche all’interno del percorso diagnostico e si è invitato a porre immediato rimedio inserendo un neuropsichiatra all’interno dell’équipe multidisciplinare.

Un’integrazione delle varie équipe con la figura dello psichiatra permetterebbe quindi di:

  • tutelare l’ordinamento da difformità non giustificabili a fronte di medesimi criteri stabiliti dalle Determine riguardanti lo stesso farmaco;
  • assicurare ai minori in età puberale e anche a quelli in età adolescenziale il medesimo standard di cura, fornendo loro un’assistenza sanitaria integrata con i profili di garanzia stabiliti dalle Determine;
  • salvaguardare i professionisti sanitari coinvolti nel processo diagnostico da rivendicazioni postume in ordine ai comportamenti omissivi adottati con riferimento alla valutazione e alla cura delle comorbilità psichiatriche interferenti;
  • garantire i dirigenti sanitari dalla ricorrenza di profili penali in ordine all’eventuale mancato rispetto dei criteri stabiliti dalle determine per l’erogabilità a carico del SSN di farmaci connessi alla transizione.

Inoltre si darebbe finalmente risposta a tutti quei genitori che chiedono per i propri figli disforici accertamenti esaustivi e approfonditi, poiché solo a seguito di un’esplorazione profonda delle singole situazioni individuali è possibile fornire un consenso veramente informato ai vari percorsi proposti. 

Se ne beneficiano tutti, perché non farlo? 


[1] Butler G., De Graaf N., Wren B., Carmichael P. (2018). “Assessment and support of children and adolescents with gender dysphoria”, in Archives of Disease in Childhood, n. 103, pag. 631-636.

[2] Sul tema si vedano anche: Van Der Miesen A.I.R., Hurley H., De Vries A.L.C. (2016). “Gender dysphoria and autism spectrum disorder: A narrative review”, in Int. Rev. Psychiatry, n. 28, pag. 70-80. Furlong Y. (2021). “Autism and Gender Identity”, in Autism Spectrum Disorder – Profile, Heterogeneity, Neurobiology and Intervention Int. Hull L., Petrides K. V., Mandy W. (2020). “The Female Autism Phenotype and Camouflaging: A Narrative Review”, in Review Journal of Autism and Developmental Disorders, n. 7, pag. 306–317. Leef J. H., Brian J., VanderLaan D. P., Wood H., Scott K., Lai M. C., Bradley S. J., Zucker K. J. (2019). “Traits of Autism Spectrum Disorder in School-Aged Children with Gender Dysphoria: A Comparison to Clinical Controls”, in Clinical Practice in Pediatric Psychology, n. 7, pag. 383–395. Bejerot S., Eriksson J.M. (2014). “Sexuality and gender role in Autism Spectrum Disorder: a case control study” in PLOS ONE, n. 9.

[3] Cohen A., Gomez-Lobo V., Willing L., Call D., Damle L.F., D’Angelo L.J., Song A., Strang J.F. (2023). “Shifts in gender-related medical requests by transgender and gender-diverse adolescents”, in Journal of Adolescent Health, n. 72, pag. 428-436.

[4] Il documento “Care of children and adolescents with gender dysphoria – Summary of national guidelines – December 2022“ è reperibile al seguente link: https://www.socialstyrelsen.se/globalassets/sharepoint-dokument/artikelkatalog/kunskapsstod/2022-3-7799.pdf

[5] “Systematically search for signs of autism spectrum disorder (ASD) and ADHD/ADD before, or at an early stage of the assessment. In case of signs of ASD, neuropsychiatric assessment should be initiated” (pagina 5 del documento, sezione “Other recommendations”).

[6] “Finally, autism itself is thought to contribute to suicidality over and above other factors” in Cassidy S., Bradley L., Shaw R., Baron-Cohen S. (2018). “Risk markers for suicidality in autistic adults”, in Autism.

[7] “The striking finding is the very high prevalence of ADHD among suicidal boys” in Balazs J., Dallos G., Kereszteny A., Gadoros J. (2010). “Gender differences in adolescent suicidal behavior” in European Psychiatry, vol. 25, Supplement 1, pag. 1345.

[8] “Clinical and social support tailored for autistic people to reduce suicide risks should consider multifactorial mechanisms, with a particular focus on the prevention and timely treatment of psychiatric illnesses” in Lai M.C., Saunders N.R., Huang A., Artani A., Wilton A.S., Zaheer J., Ameis S.H., Brown H.K., Lunsky Y. (2023). “Self-Harm Events and Suicide Deaths Among Autistic Individuals in Ontario, Canada”, in JAMA Netw. Open.

[9] Rawee P., Rosmalen J.G.M., Kalverdijk L., Burke S.M. (2024). “Development of Gender Non‑Contentedness During Adolescence and Early Adulthood”, in Archives of Sexual Behavior, n. 53, pag. 1813–1825.

[10] “More specifcally, youths with gender dysphoria more often had negative feelings about their bodies and had a lower global self-worth (Alberse et al., 2019; Rijn et al., 2013). In addition, prior studies in clinical samples of individuals with gender dysphoria found elevated rates of mental health problems (Dhejne et al., 2016), behavioral and emotional problems (de Vries et al., 2016), and autism spectrum disorders (Kallitsounaki & Williams, 2023)”.

[11] “Gender non-contentedness has previously been associated with mental health problems (Potter et al., 2021) and clinical gender dysphoria has been reported to co-occur with diverse psychiatric problems, such as depression and anxiety disorders, eating disorders, and autism spectrum disorder (Bechard et al., 2017; Dhejne et al., 2016; Donaldson et al., 2018; Holt et al., 2016)”.

[12] Bachmann C.J., Golub Y., Holstiege J., Hoffmann F. (2024). “Störungen der Geschlechtsidentität bei jungen Menschen in Deutschland: Häufigkeit und Trends 2013–2022”, in Deutsches Ärzteblatt International, n. 121, pag. 370-371.

[13] „Bei 72,4 % der Personen mit F64-Diagnose im Jahr 2022 (n = 24 624) wurde mindestens eine weitere psychiatrische Diagnose kodiert (männlich: 67,3 %, weiblich: 75,6 %). Am häufigsten waren depressive Störungen (männlich: 49,3 %, weiblich: 57,5 %), Angststörungen (23,5 %/34,0 %), emotional instabile Persönlichkeitsstörungen vom Borderline-Typ (12,1 %/17,6 %), Aufmerksamkeitsdefizit-/Hyperaktivitätsstörungen (12,7 %/12,6 %) und posttraumatische Belastungsstörungen (9,9 %/13,6 %)“.

[14] „Inzwischen sollten die Diagnosestabilität und die hohe Prävalenz begleitender psychischer Störungen bei den Empfehlungen zum Beginn einer geschlechtsangleichenden Therapie im Jugendalter berücksichtigt werden“.

[15] NHSE – National Health Service in England (2024). “The Cass Review – Independent review of gender identity services for children and young people: Final report”.

[16] “Discussions in Chapter 11 touched on whether mental health problems may be caused by gender dysphoria and minority stress or whether in some instances a range of adverse childhood experiences and stressors could lead to gender-related distress. Regardless of causality, the focus should be on treating all the young person’s needs, rather than expecting that hormone treatment alone will address longstanding mental ill health. This point is illustrated in a recent Australian paper (Elkadi et al., 2023), which reviewed outcomes of a clinic cohort of young people 4-9 years post presentation. At initial assessment 70 of 79 (88.6%) received comorbid mental health diagnoses or displayed other indicators of psychological distress… Where follow-up data were available, ongoing mental health concerns were reported by 44 of 50 participants (88.0%)…“.

[17] “Recent national register-based studies from Finland and Denmark have been published that examine mental health needs of people presenting to specialist gender services before and after treatment”.

[18] “The Danish national register-based study of 3,812 transgender people examined a range of outcomes in routine health records compared to age-matched controls (Glintborg et al., 2023)… At baseline, transgender persons were five times more likely than controls to have mental health disorders… The Finnish paper (Russka et al., 2024) identified 3,665 individuals between 1996 and 2019. Again, this was a mixed group of children, young people and adults. The gender dysphoria group had received many times more specialist level psychiatric treatments, both before and after contacting gender services, than their matched controls. There was also a marked increase over time in psychiatric needs in 20162019 compared to 1996-2000. The need for psychiatric support persisted, regardless of gender-affirming treatment.”

[19] “In summary, both young people and adults presenting with gender dysphoria often have complex additional mental health needs”.

[20] https://ordinepsicologi.piemonte.it/wp-content/uploads/old/biblioteca-multimediale/Atto+diagnostico.pdf

[21] https://www.quotidianosanita.it/regioni-e-asl/articolo.php?articolo_id=102665

[22] Vita R., Settineri S., Tommasini A., Benvenga S. (2018). “Adempimenti psicoendocrinologici e giuridico-legali integrati nella disforia di genere” in https://www.societaitalianadiendocrinologia.it/html/news/adempimenti-psicoendocrinologici-e-giuridico-legali-integrati-nella-disforia-di-genere.asp

[23] Crapanzano A., Carpiniello B., Pinna F. (2021) “Approaches to people with gender dysphoria: from the Italian psychiatric model to the emergent model based on informed consent”, in Rivista di Psichiatria 56 (2), 120-128.

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