La “via della connessione”: navigare la realtà con una figlia con identità trans

Un articolo di @Walkwithmum pubblicato su Reality’s Last Stand l’8 settembre 2024


Troppi genitori di adulti con identità trans credono di dover affermare o rifiutare l’identità trans. Ma c’è una terza opzione.

Mia figlia non è “woke”. Ha 23 anni. È una pensatrice critica, per lo più. E ora si identifica come trans.

Questa è una circostanza molto destabilizzante per la nostra famiglia. Io sono dalla parte della biologia. Non sto affermando la sua identità, anche se accetto la necessità percepita da mia figlia di adottarla. Sono consapevole del ruolo che la salute mentale e l’ideologia hanno giocato nella sua decisione. Ha una cerchia di amici, la maggior parte dei quali sono donne che si identificano come trans o queer. È preoccupata per la transizione dei bambini da parte delle scuole e dei medici; allo stesso tempo, mi chiede di usare i pronomi maschili per lei.

Cosa deve fare un genitore all’ultima spiaggia della realtà?

Troppi genitori di giovani adulti con identità trans credono erroneamente di avere solo due scelte: affermare o rifiutare l’identità trans.

Sono complesse le ragioni per cui genitori scelgono l’una o l’altra strada. Molti affermano nella speranza di mantenere un rapporto pieno e soddisfacente con il proprio figlio adulto. Anche se non ci credono davvero, usano i nuovi nomi, i nuovi pronomi e accompagnano i figli adulti agli appuntamenti per la chirurgia di “affermazione del genere”.

Altri non riescono ad accettare, e nemmeno a fingere di accettare, l’identità trans. Questi sono i genitori che rischiano l’estraniamento da parte dei figli quando questi giovani adulti scelgono di ridurre al minimo o interrompere i contatti con loro.  

Ho tentato con questo secondo approccio, spiegando garbatamente a mia figlia che sarebbe sempre stata mia figlia, indipendentemente dalla sua percezione di sé, e discutendo con lei sull’ideologia. Per alcuni penosi mesi non ha voluto vedermi e non ha risposto alle mie telefonate. È tornata, di sua iniziativa, perché voleva vedere i nonni che erano venuti a trovarci. Ho capito quanto tenesse alla nostra famiglia e alla nostra vita familiare.

Questa esperienza mi ha portato a scoprire una terza opzione. La chiamerò “la via della connessione”.
Credo che il modo migliore per andare avanti con mia figlia trans-identificata sia mantenere un forte legame con lei mentre si individua in una cultura che promuove l’identità trans come una scelta di vita praticabile.

In questo terzo percorso, i fatti indiscutibili della biologia rimangono la realtà, ma non rappresentano l’unica realtà.

L’altra realtà è quella esterna che i giovani adulti hanno ereditato. Il loro mondo – coetanei, insegnanti, terapeuti, film, musei, politici – sostiene l’identità trans come un’opzione socialmente accettabile, persino desiderabile.

Come madre, devo vedere il mondo per quello che è, anche se mi sforzo di renderlo come dovrebbe essere.

In questa terza via, evito alcuni argomenti di disaccordo, spesso legati al linguaggio di genere, e mi butto a capofitto nel sostenere mia figlia e vivere la vita con lei.  

In questa terza via, mia figlia è molto più della sua identità trans.

Glielo ricordo sempre in modo sottile. Lo faccio mostrando interesse per i suoi interessi, condividendo e chiedendo opinioni su altri argomenti e rafforzando il nostro rapporto con attenzione, spensieratezza e cura mentre si avvia all’età adulta. A volte è molto doloroso, perché nel mentre fa scelte che vorrei non facesse e di cui credo si pentirà. Ma non è la stessa cosa per tutti i genitori di figli adulti, indipendentemente dal genere?

Continuo a dare molto peso alla realtà, soprattutto a quella biologica. Allo stesso tempo, non rinuncio a mia figlia. Sto scegliendo la strada della connessione.

Accettare mia figlia non vuol dire accettare che sia trans. Significa che la accolgo come essere umano a tutti gli effetti: imperfetto, simpatico, compassionevole, maldestro e indipendente. Ho smesso di sperare ardentemente che desista; non può tornare alla persona che era prima, nessuno può farlo. È difficile vederla interpretare un personaggio con un nuovo nome.

In un momento di fragilità, ha ammesso che si tratta solo di un personaggio, un modo per affrontare la situazione, una forma di mascheramento (non adottiamo tutti delle maschere per vivere nella società?).

Non tutti i giovani trans-identificati sono attivisti. Non tutti credono di poter cambiare davvero il proprio sesso. Non tutti credono sia giusto che ai bambini venga insegnata l’ideologia di genere a scuola. Alcuni fanno semplicemente del loro meglio con la realtà che gli è toccata.

Per me, andare avanti significa accettare la realtà che mia figlia si vede trans perché è convinta che questo le semplifichi la vita. (In un decennio precedente, immagino che avrebbe potuto considerarsi e trovare la sua strada come lesbica mascolina. Ma questi sono termini, e forse scelte, che non le si addicono, nonostante le mie preferenze). Quindi, pur non accettando la sua identità trans come verità, la accetto come un meccanismo di coping che riflette un diverso tipo di realtà, che nessuna di noi due ha creato.

Dobbiamo ricordare che la biologia è una realtà. La nostra cultura malata è l’altra.

Tenere a mente queste verità mi aiuta a dare priorità al legame con mia figlia, del quale, forse per ragioni diverse, sia io che lei abbiamo bisogno.

L’autrice usa uno pseudonimo per proteggere la sua privacy e quella di sua figlia.

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