Lo studio di Turban sulla triptorelina: tutti lo citano, pochi lo leggono.

Premessa

Nello studio denominato Pubertal suppression for transgender youth and risk of suicidal ideation”[1] (2020), Turban et al. esaminano la relazione tra i bloccanti della pubertà e il successivo stato di salute mentale, e arrivano a raccomandare che il “trattamento (la soppressione della pubertà, ndr) sia reso disponibile per gli adolescenti transgender che lo desiderano”, così come disposto anche dalle linee guida dell’Endocrine Society e dalla WPATH. 

Lo studio di Turban et al., seppur viziato da gravi difetti metodologici e di analisi, è fra i più richiamati dalla narrazione a sostegno della terapia affermativa di genere, quella che prevede la medicalizzazione, il più delle volte a vita, di bambini e giovani che manifestano incongruenza di genere. Lo studio è stato recentemente citato come fonte scientifica autorevole anche da alcuni degli esperti auditi alla Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati (Interrogazione presentata da ZANELLA Luana, Alleanza Verdi e Sinistra, il 23 gennaio 2024). Per questo motivo GenerAzioneD ritiene opportuno rendere pubbliche e verificabili le criticità dello studio di Turban et al. e favorire un confronto serio e costruttivo su quei valori percentuali che vengono frequentemente introdotti nel dibattito pubblico (come ad esempio la “riduzione del 70% del rischio suicidio”), senza che se ne conosca la provenienza e le modalità di calcolo.

Uno studio di bassa qualità

La Cass Review, pubblicata in aprile 2024, ha esaminato 50 studi sulla soppressione della pubertà e 24 studi sono stati valutati “di bassa qualità”: tra questi compare quello di Turban et al. 

Secondo il gold standard dell’EBM (Evidence Based Medicine) la qualità di uno studio viene valutata in base al rischio di bias, ovvero di pregiudizio, errore sistematico, deviazione dalla verità nei risultati. Lo strumento più comune per valutare questo rischio negli studi non randomizzati è il modello ROBINS-I (“Risk of Bias in Non-randomized Studies—Interventions”), tuttavia la revisione sistematica di Cass ha scelto di utilizzare una scala più moderata, ovvero la NOS (Newcastle-Ottawa Quality Assessment Scale), altrimenti l’intera ricerca esistente sulla medicina di genere sarebbe stata probabilmente classificata a rischio “serio” o “critico” di bias. Nonostante l’applicazione di criteri meno rigidi (NOS), lo studio di Turban è stato valutato comunque di “bassa qualità”[2].

Una regola pratica nella medicina basata sull’evidenza è che raccomandazioni forti richiedono l’esistenza di prove forti a sostegno. Turban et al. rilasciano una raccomandazione forte (la soppressione della pubertà per ridurre la suicidalità), che però non è supportata da evidenze scientifiche altrettanto forti. Vediamo quali sono nel dettaglio le criticità e le contraddizioni che rendono questo studio scarsamente affidabile. 

1. Limite intrinseco degli studi correlazionali 

I pochi studi esistenti che hanno indagato la suicidalità nelle persone transgender utilizzano schemi di ricerca correlazionale, una metodologia che si limita a indagare l’esistenza di una relazione tra i fenomeni, senza arrivare a stabilire se uno sia la causa dell’altro. Per semplificare, una ricerca correlazionale osserva come muta la variabile x (ad es. tasso di tentato suicidio) all’incrementare o al diminuire della variabile (ad es. somministrazione terapia con bloccanti), ma non può in nessun modo determinare con certezza l’esistenza di un nesso causale tra le due variabili (ad es. tra la somministrazione della terapia con bloccanti e i successivi esiti sulla salute mentale). Per poter determinare con sicurezza la relazione causale fra gli eventi e misurare statisticamente gli effetti della terapia è infatti necessario utilizzare il metodo sperimentale, che prevede la costituzione di due o più gruppi di controllo omogenei e la somministrazione della terapia solo al primo gruppo. Nell’ambito della varianza di genere, la complessità di studio è aumentata dal numero di variabili e dal fatto che ci si occupa di una platea di giovanissimi che soffre di una varietà di disagi concomitanti. 

Lo studio di Turban et al. è quindi uno studio correlazionale che effettua un confronto tra due gruppi non omogenei, il primo formato da soggetti che hanno dichiarato di aver ricevuto gli ormoni bloccanti della pubertà (GnRHa) e il secondo formato da soggetti che hanno dichiarato di aver desiderato di accedere alla cura senza però riceverla: l’osservazione dello stato di salute mentale dei due gruppi, già diversi in partenza, non può essere la base per trarre conclusioni di tipo causale tra la somministrazione della terapia coi bloccanti e la suicidalità, per la semplice ragione che non sappiamo come il gruppo a cui sono stati dati i bloccanti (che peraltro differisce nelle sue caratteristiche iniziali da quello senza bloccanti) se la sarebbe cavata senza terapia.

2. Scarsa rappresentatività e distorsioni dei dati di partenza 

Turban et al. hanno utilizzato per lo studio i dati elaborati nel 2015 dal National Center for Transgender Equality (NCTE) all’interno dell’U.S. Transgender Survey (USTS – Sondaggio sui transgender negli Stati Uniti) e resi noti nel rapporto di James et al.[3] nel 2016. Tuttavia, questa specifica survey (USTS) non sembra fornire dati generalizzabili sulle persone trans negli Stati Uniti, per via delle enormi discrepanze tra il campione interpellato rispetto ad altri analizzati in indagini analoghe (ad esempio nel campione intervistato dal Behavioral Risk Factor Surveillance System (BRFSS) nel periodo dal 2014 al 2017 solo il 14% degli intervistati era laureato, mentre nel campione USTS i laureati sono il 47%). In tal modo diviene inevitabile che campionature diverse producano risultati diversi. Inoltre, i dati dell’USTS, utilizzati da Turban et al., si riferiscono a un’indagine generalista effettuata tramite un sondaggio online di 50 domande, autosomministrato a una platea di adulti transgender statunitensi[4], nella quale il 39% degli intervistati ha dichiarato di soffrire di gravi disagi psicologici[5] (ben il 53% nella fascia 18-25 anni)[6]. Tale difficile condizione psicologica è una risposta non adeguatamente considerata dall’analisi di Turban et al. che dimostra l’impossibilità di studiare la correlazione fra suicidalità e disforia di genere senza approfondire la natura di eventuali comorbilità psichiche o di altre cause alla base del disagio psicologico emerso. Un disegno di studio che non sia in grado di isolare gli effetti dei bloccanti della pubertà da variabili confondenti (come le comorbilità psicologiche) è un lavoro ad altissimo rischio di bias.

Il sondaggio USTS del 2015 aveva come rispondenti oltre 27.000 adulti americani transgender, poi ridotti a 20.619 per esigenze di coerenza metodologica[7]. Si tratta di un campione di convenienza (un tipo di campionamento non casuale che prevede la scelta di persone da cui è più facile per il ricercatore ottenere informazioni) in gran parte reclutato da attivisti e tramite gruppi di supporto transgender, che quindi escludeva i desister, i detransitioner e coloro che non erano in contatto con associazioni transgender: di fatto una coorte non sufficientemente rappresentativa, che peraltro non includeva le esperienze degli individui transgender non attivi politicamente. Inoltre, in fase di reclutamento, i ricercatori hanno posto l’enfasi sugli obiettivi dell’indagine, finalizzata ad evidenziare le ingiustizie subite dalle persone transgender, inducendo così il verificarsi del fenomeno del demand bias [8] (noto anche come “effetto please-you”), nel quale il partecipante è incline a confermare con le proprie risposte le ipotesi del ricercatore[9]. Tale condizionamento può generare la tendenza a drammatizzare alcune risposte, privilegiando sempre l’opzione più estrema. 

Non da ultimo, il gruppo analizzato nello studio di Turban et al. non comprende coloro che si sono effettivamente suicidati (e che quindi per forza di cose non potevano partecipare al sondaggio).
Questo difetto di campionatura può introdurre dei problemi molto gravi che vanno sotto il nome di bias di sopravvivenza (survivorship bias). Per illustrare: la presenza di anche uno o due casi di suicidio confermato fra coloro che avevano effettuato la terapia ormonale nell’anno precedente alla survey potrebbe cambiare alcuni risultati dello studio, ad esempio segnalare un rischio significativamente maggiore nel gruppo dei bloccanti per la categoria dei tentativi più gravi.

3. Confusione fra ormoni bloccanti della pubertà e ormoni cross-sex

Ai limiti degli studi che utilizzano dati provenienti da sondaggio, nello studio in oggetto si aggiungono evidenti errori di comprensione delle domande da parte degli intervistati, che hanno portato a risposte inesatte. Analizzando le domande riferite ai bloccanti della pubertà (domanda 12.9[10]), si nota che il 73% di coloro che hanno riferito di aver assunto bloccanti della pubertà ha affermato di aver iniziato ad assumerli dopo i 18 anni (domanda 12.9[11]). Dal momento che l’ormone bloccante GnRHa viene somministrato al di sotto dei 16 anni, è evidente che quel 73% di intervistati ha confuso i bloccanti della pubertà con gli ormoni cross-sex, come peraltro riconosciuto dagli stessi autori del sondaggio nelle note[12]. Pur non menzionando l’anomalia, Turban et al. tentano di mitigare il dato errato ignorando gli intervistati che hanno riferito di aver assunto i bloccanti della pubertà dopo i 18 anni e analizzando solamente il 27% del campione composto dalle persone che hanno dichiarato di aver assunto i bloccanti prima dei 18 anni. Tale scelta metodologica comporta però due anomalie correlate: in primo luogo non si può escludere che in quel 27% del campione non ci siano altre persone che si riferivano agli ormoni cross-sex e non ai bloccanti, visto che gli ormoni cross-sex sono somministrabili dai 16 anni di età; la seconda anomalia riguarda invece la perdita di validità dell’altro campione osservato – quello di controllo – poiché non è stato possibile escludere da questa platea chi aveva affermato di aver desiderato la terapia coi bloccanti, riferendosi invece agli ormoni cross-sex (l’elevatissima percentuale di errore rilevata nel campione base – il 73% – suggerisce che anche il campione di controllo sia fortemente inquinato dalla presenza di soggetti estranei alla vicenda dei bloccanti). 

L’enorme disomogeneità dei due gruppi messi a confronto inficia la possibilità di operare un qualsiasi confronto scientificamente attendibile. 

4. Impossibilità di aver assunto o desiderato i bloccanti

La prassi di sopprimere la pubertà nei giovani affetti da disforia di genere si è diffusa in America solo a decorrere dal 2009, in seguito alla raccomandazione della Endocrine Society[13]. Su questo dato ampiamente riportato concordano gli stessi Turban et al. che nello studio del 2018 “Dynamic gender presentations: Understanding transition and “de-transition” among transgender youth”[14] affermavano che solo negli ultimi 10 anni la transizione era stata raccomandata ai giovani americani. Come ricorda Biggs nel suo studio “Puberty blockers and suicidality in adolescents suffering from gender dysphoria”[15], in America uno dei primi sostenitori dell’utilizzo dell’ormone bloccante GnRHa in questo ambito era stato l’endocrinologo pediatrico Norman Spack del Boston Children’s Hospital, il quale iniziò a somministrarlo a partire dal 2007[16]. Biggs riporta che dall’esame delle prescrizioni di GnRHa (histrelin acetato) provenienti da 43 ospedali pediatrici statunitensi è stato possibile accertare che l’ormone bloccante della pubertà non era mai stato prescritto per il disturbo dell’identità di genere tra il 2004 e il 2009, mentre il suo utilizzo in ambito di trattamento della disforia di genere si era espanso solo a decorrere dal 2010[17].

Con questa premessa, si rende evidente un altro grande errore dello studio di Turban et al., che fa rientrare nel campione di studio tutti i giovani che nel 2015 (data del sondaggio) avevano meno di 36 anni. Poiché il primo caso di studio a livello mondiale sull’utilizzo degli ormoni GnRHa nei Paesi Bassi[18] fu pubblicato nel 1998, anno in cui parte del campione incluso da Turban et al. aveva già 16 o 17 anni, ciò significa che costoro non potevano certo aver desiderato di assumere gli ormoni bloccati della pubertà, né tantomeno averli assunti in quell’anno o in quelli immediatamente successivi. Questa è un’ulteriore dimostrazione del fatto che l’analisi di Turban et al. è stata effettuata su informazioni spurie e presupposti erronei, come la disponibilità di terapie ormonali bloccanti negli Stati Uniti molti anni prima di quanto effettivamente accaduto. Inoltre pretende di determinare gli effetti dei bloccanti sulla suicidalità intervistando soggetti che confondono i bloccanti con gli ormoni cross-sex e soggetti che, da un banale controllo di tempistiche, non potevano aver assunto o desiderato la terapia oggetto dello studio.

5. Impossibilità di confronto fra i due gruppi 

Se anche i due gruppi confrontati nello studio di Turban et al. fossero rappresentativi e correttamente selezionati, l’errore metodologico compiuto da Turban et al. in fase di osservazione e deduzione è davvero clamoroso. Come già detto, il primo gruppo è formato dai soggetti che avevano ricevuto i bloccanti della pubertà (GnRHa), mentre il secondo gruppo è formato dai soggetti che avrebbero voluto accedere alla cura, ma non ci sono riusciti. L’intento degli autori era quello di mettere a confronto due gruppi il più possibile omogenei (adolescenti che desiderano i bloccanti) e dimostrare che chi aveva avuto accesso alla terapia aveva ottenuto un miglior stato di salute mentale. Un siffatto confronto è però altamente fuorviantein quanto non attribuisce rilevanza alle ragioni per le quali le persone del secondo gruppo non hanno avuto accesso alle terapie. Oltre all’assenza del consenso genitoriale, le ragioni potevano risiedere in un precario stato di salute mentale del soggetto o alla presenza di comorbilità che impedivano l’accesso alla terapia, e va da sé che un soggetto con problemi di salute mentale, o affetto da più comorbilità, abbia un indice di suicidalità maggiore rispetto a un soggetto più sano e con una disforia stabile (di conseguenza ammesso alle cure ormonali). E ciò a prescindere dai trattamenti medici a cui quest’ultimo viene sottoposto[19]. In merito a questa osservazione, lo studio “Commentary: The Signal and the Noise – questioning the benefits of puberty blockers for youth with gender dysphoria – a commentary on Rew et al.”[20] (2021) ha commentato quanto segue: “Leggere che i bloccanti della pubertà hanno avuto “esiti positivi nella diminuzione della suicidalità in età adulta” sarà probabilmente interpretato come un’indicazione di causalità. Tuttavia, Turban et al. (2020), da cui ha origine questa affermazione, hanno osservato che il modo in cui è stato disegnato il loro studio non consentiva l’identificazione dei nessi di causalità e che la “causalità inversa” (fenomeno che descrive l’associazione di due variabili in modo diverso da quello atteso, ndr) poteva fornire una spiegazione alternativa plausibile (gli individui senza ideazione suicidaria avevano una migliore salute mentale e avevano maggiori probabilità di essere considerati idonei per i bloccanti della pubertà)”[21]. Tale criticità, peraltro ammessa dagli stessi Turban et al., ha fortemente limitato gli esiti di una ricerca che di fatto non ha prodotto un confronto tra due alternative (effettuare o non effettuare la terapia ormonale per ridurre il rischio di suicidio), ma si è limitata a osservare lo stato di salute di soggetti ammessi al trattamento e di soggetti non ammessi, senza però indagare il motivo di tale discrimine

6. Debolezze nella numerosità del campione

I due campioni di studio sono stati selezionati in base alla combinazione di risposte alle due domande: “Ha mai desiderato uno qualsiasi degli ormoni/cure elencate di seguito per la sua identità di genere o per la sua transizione di genere?” e “Ha mai ricevuto una delle cure sanitarie elencate di seguito…?”. Turban et al. hanno dichiarato che “i punti di forza di questo studio sono l’ampia dimensione del campione e la rappresentazione di un’ampia area geografica degli Stati Uniti[22] (non l’evidenza delle prove assunte, la rigorosità metodologica o la congruità dei risultati) e in effetti abbiamo sentito dichiarare da chi vorrebbe attribuire rilevanza scientifica allo studio di Turban et al. (recentemente anche da un autorevole professionista sanitario audito in Commissione Affari Sociali della Camera) che la ricerca sarebbe stata condotta su un campione di oltre 20.000 transgender. In realtà, come abbiamo visto, il primo gruppo – probabilmente sovrastimato – di chi ha desiderato e ottenuto i bloccanti della pubertà contava appena 89 intervistati (dopo la scrematura dovuta alla confusione con gli ormoni cross-sex), mentre il secondo gruppo di coloro che avevano solo desiderato la cura era di 3.405 intervistati (per i quali, come abbiamo detto, non era possibile determinare chi si riferisse ai bloccanti e chi agli ormoni cross-sex). 

7. Equivoco fra suicidio e suicidalità

Nella gran parte degli studi sulla disforia di genere il tasso di suicidio viene confuso con il tasso di suicidalità, un termine che raggruppa tutti i comportamenti connessi al suicidio, sia che si tratti di pensieri suicidari, ideazione o pianificazione suicidaria, sia di tentativo di suicidio o suicidio effettivo. Dal punto di vista metodologico però non si può non tenere conto che tra l’aver pensato al suicidio (magari solo fugacemente o come mera eventualità), l’averlo tentato e l’averlo portato a termine esistono differenze abissali. Per questo, ricorrere indistintamente al concetto di suicidalità per attribuirgli un valore scientifico assoluto può rivelarsi altamente fuorviante. Un recente studio denominato “Suicide by clinic-referred transgender adolescents in the United Kingdom”[23] (2022) illustra chiaramente il perché: “Gli intervistati che segnalano tentativi di suicidio non indicano necessariamente l’intenzione di morire[24]… la metà degli intervistati che hanno riferito di aver tentato il suicidio ha successivamente affermato che la loro azione era un grido di aiuto e non intendeva essere fatale[25]…la metà degli intervistati, che inizialmente aveva riferito di aver tentato il suicidio, ha successivamente chiarito di non essere andata oltre il fatto di immaginarlo o pianificarlo; per i restanti che hanno effettivamente tentato il suicidio, le loro azioni di solito non sono state tali da mettere in pericolo la vita…”[26]Sebbene sia chiaro che anche i soli pensieri suicidali non debbano mai essere sottovalutati o trascurati, ai fini dell’approfondimento analitico e clinico è fondamentale distinguere fra i comportamenti fattuali e i soli pensieri o le vaghe intenzioni[27].

Le conclusioni riportate nello studio di Turban et al. si riferiscono pertanto ai livelli di ideazione suicidaria e non considerano i suicidi effettivi, né la pianificazione del suicidio/il tentativo di suicidio/il tentativo di suicidio con necessità di ricovero in ospedale nel periodo antecedente gli ultimi 12 mesi. Tutti questi eventi trascurati avrebbero potuto condizionare e persino invertire i risultati della ricerca. Questa criticità risulta evidente dai dati della tabella 3 dello studio di Turban et al. qui riportata. 

Agli intervistati era stato chiesto se avessero mai avuto pensieri suicidari o se avessero tentato il suicidio negli ultimi 12 mesi, o nel corso della vita. Le risposte possibili non erano alternative, ma concorrenti, sicché chi ha dichiarato di aver tentato il suicidio nel corso della vita, avrà probabilmente dato una risposta affermativa anche alla domanda sull’ideazione suicidaria, e forse anche alle domande sulla suicidalità negli ultimi 12 mesi. Per questo motivo in tabella 3 si osserva come nella colonna “YES” (quella di chi ha assunto i bloccanti) la somma dei pensieri suicidari (67) e dei tentativi di suicidio (37) nel corso della vita ammonta a 104, a fronte di sole 89 persone intervistate. Se si contano anche le ideazioni suicidarie e i tentativi di suicido negli ultimi 12 mesi (86), il totale complessivo di eventi suicidari arriva a 190 (oltre il doppio del campione di indagine). Una nota interessante è data dall’osservazione del dato più vicino a identificare la reale volontà di suicidarsi, ovvero il tentativo di suicidio con ricovero, che confuta del tutto la tesi degli autori sul miglioramento del benessere psicologico dei transgender trattati con i bloccanti, in quanto si è verificato nel 5,6% dei casi fra coloro che hanno assunto i bloccanti e appena nel il 3,2% fra chi non li ha assunti. Si tratta anche in questo caso di un dato inaffidabile, ma dimostra come le dimensioni dei campioni osservati e le distorsioni in essi presenti non permettono di ricavare alcuna conclusione significativa sulla correlazione fra uso dei bloccanti della pubertà e suicidalità. E infatti Turban et al. evitano attentamente di affermare che i bloccanti della pubertà riducono i tentativi di suicidio (come invece, incautamente, hanno affermato le 12 società scientifiche italiane nel loro comunicato a favore della triptorelina[28]), e si limitano a parlare genericamente di ideazione suicidaria

8. Il conflitto di interessi

In data 16 agosto 2022 Caroline Downey scriveva quanto segue sul National Review: “Il dottor Jack Turban ha trovato la sua nicchia di ricerca nel trattamento dei disturbi pediatrici dell’identità di genere quasi dieci anni fa e ha rapidamente scalato i ranghi della disciplina… In molti degli articoli pubblicati da Turban, le fonti di finanziamento per la sua ricerca rivelano conflitti di interessi. In particolare, il suo lavoro passato è stato reso possibile da una sovvenzione dell’American Academy of Child & Adolescent Psychiatry (AACAP), di cui Turban è membro del comitato media e dove “è difficile ottenere opinioni contrarie sui simposi”, secondo Levine. In particolare, AACAP è sostenuta finanziariamente dalle aziende farmaceutiche Arbor e Pfizer. Entrambi producono bloccanti della pubertà off-label che inibiscono l’insorgenza di cambiamenti fisici in linea con il sesso di una persona. Dato che anche le nazioni europee progressiste, come Inghilterra, Francia, Finlandia e Svezia, hanno iniziato a adottare un approccio sempre più cauto nei confronti delle transizioni di genere minori, la relazione tra i finanziamenti di Turban e le sue conclusioni è stata messa sotto esame. “L’azienda farmaceutica gli concede una sovvenzione per promuovere il suo prodotto”, ha affermato Levine… I benefattori indiretti di Turban – Arbor e Pfizer – producono rispettivamente Triptudor e Synarel, o analoghi dell’ormone di rilascio delle gonadotropine (GnRHa) che sono spesso raccomandati come trattamento iniziale per gli adolescenti con diagnosi di disforia di genere. Tale trattamento ha potenziali effetti a lungo termine sulla fertilità futura, sulla crescita e densità ossea e sugli scatti di crescita, oltre a effetti a breve termine come aumento di peso e mal di testa. La FDA ha recentemente aggiunto un altro effetto collaterale preoccupante: lo pseudotumor cerebri,o accumulo di alta pressione nel cervello, che può causare una perdita progressiva e permanente della vista se non affrontato[29]. Per uno studio del febbraio 2020 di cui è coautore, intitolato “Pubertal Suppression for Transgender Youth and Risk of Suicidal Ideation”, Turban ha ricevuto un premio di ricerca pilota da 15.000 dollari per specializzandi in psichiatria generale dall’AACAP. Lo studio ha convenientemente scoperto che la somministrazione di GnRHa per la soppressione della pubertà per la disforia di genere durante l’adolescenza era correlata con un minor numero di pensieri suicidi e una migliore salute mentale tra gli adulti transgender. Secondo un comunicato stampa di Stanford, il finanziamento dell’AACAP ha anche sponsorizzato uno studio del gennaio 2022 di cui Turban è coautore, intitolato “Access to gender-affirming hormones during adolescence and mental health outcomes among transgender adults”. Quando è stato chiesto un commento, un portavoce dell’AACAP ha risposto che l’organizzazione aderisce a rigide linee guida sulla trasparenza e ha segnalato adeguatamente il collegamento Turban-pharma. In uno studio pubblicato all’inizio di questo mese intitolato “Sex Assigned at Birth Ratio Among Transgender and Gender Diverse Adolescents in the United States”, Turban riporta nuovamente il finanziamento dell’AACAP Pilot Research Award”[30].

Conclusione: lo studio di Turban et al. non dimostra nulla

Lo studio di Turban et al. è stato ampiamente criticato dall’expertise scientifica mondiale ed è per questo privo di attendibilità. Di seguito si riportano alcuni stralci contenuti negli approfondimenti più significativi.

  • 2020 – D’Angelo R., Syrulnik E., Ayad S., Marchiano L., Theadora Kenny D., Clarke P. “One Size Does Not Fit All: In Support of Psychotherapy for Gender Dysphoria” in Archives of Sexual Behavior, n. 50, pag. 1-10.
    • L’analisi di Turban et al. “è compromessa da gravi difetti metodologici, compreso l’uso di un campione di dati distorti, il ricorso a domande del sondaggio con scarsa validità e l’omissione di una variabile di controllo chiave, vale a dire lo stato di salute mentale di partenza dei soggetti”[31]
    • Le loro conclusioni non sono supportate dalla loro stessa analisi[32].

  • 2020 – Biggs M. “Puberty blockers and suicidality in adolescents suffering from gender dysphoria”, in Archives of Sexual Behavior, n. 49, pag. 2227–2229.
    • L’articolo pertanto non fornisce alcuna prova a sostegno della raccomandazione “che questo trattamento debba essere reso disponibile per gli adolescenti transgender che lo desiderano”[33].
    • In sintesi, quindi, Turban et al. (2020) non hanno contribuito in alcun modo alla nostra conoscenza circa gli effetti della soppressione della pubertà negli adolescenti[34].
  • 2022 – Sapir L. “Pediatric Gender Medicine and the Moral Panic Over Suicide”, in Reality’s last stand.
    • “Nulla negli studi di Turban può confutare la possibilità che il miglioramento della salute mentale fosse il risultato di qualcosa di diverso dalla soppressione medica della pubertà..Nonostante abbia riconosciuto i limiti delle sue stesse conclusioni, seppure non con l’enfasi opportuna, Turban è riuscito a vendere il suo lavoro a un ambiente mediatico entusiasta come la prova evidente del fatto che i bloccanti della pubertà sono farmaci salvavita e necessari dal punto di vista medico. Il pubblico ha divorato tutto acriticamente”[35].
  • 2022 – Clayton A., Mallone W.J., Clarke P., Massone G., D’Angelo R.  “Commentary: The Signal and the Noise -questioning the benefits of puberty blockers for youth with gender dysphoria- a commentary on Rew et. al.”, in Child Adolesc. Ment. Health, n. 27, pag. 259-262
    • “…è plausibile che coloro che non avevano ideazione suicidaria avessero una migliore salute mentale quando cercavano cure e quindi avevano maggiori probabilità di essere considerati idonei per soppressione puberale” (Turban et al., 2020). Questo è uno dei limiti più gravi dello studio, poiché introduce un alto rischio di bias e riduce la certezza dei risultati[36]
    • “…i risultati positivi di Turban et al. includevano una diminuzione del disagio psicologico nell’ultimo mese, del consumo eccessivo di alcolici nell’ultimo mese e dell’uso di droghe illecite nell’arco della vita. Tuttavia, l’analisi univariata di Turban et al. ha mostrato che solo uno di questi tre risultati, il disagio psicologico del mese scorso, ha mostrato una differenza significativa, e questo significato è scomparso una volta controllate le variabili demografiche nell’analisi multivariata”[37].
    • “C’è anche un uso poco chiaro del termine suicidalità, che esagera le implicazioni dei risultati di Turban et al. Il suicidio è un termine ampio, che comprende tentativi di suicidio, piani e ideazioni, e in effetti questo era il modo in cui veniva utilizzato da Turban et al. È anche importante notare che Turban et al. non hanno effettuato alcuna valutazione dei suicidi completati. Turban et al. hanno valutato sei aree di suicidalità (compresi tentativi di suicidio recenti e nel corso della vita, ideazione recente con progetti, ideazione recente e nel corso della vita) e non hanno trovato alcuna associazione tra i bloccanti della pubertà e le misure di suicidio in cinque delle sei areeL’unica associazione era con “ideazione suicidaria nel corso della vita”. Naturalmente, qualsiasi idea suicidaria è preoccupante, ma i tentativi di suicidio sono generalmente considerati più preoccupanti, in termini di valutazione del rischio di suicidio, rispetto all’idea suicidaria”[38].
  • 2022 – Latham A. “Puberty Blockers for Children: Can They Consent?” in The New Bioethics, n. 28, pag. 268-291
    • Turban (Citation2020), in un articolo sul rischio di ideazione suicidaria nei giovani a cui è stato somministrato il PB (puberty blocker, ndr), ha concluso che l’ideazione suicidaria era ridotta in coloro che avevano il PB. Ci sono tuttavia gravi debolezze nella loro metodologia: hanno ricavato le informazioni da un’indagine volontaria su adulti transgender negli Stati Uniti. Da questo campione di 89 intervistati sono state escluse le persone che hanno avuto PB e poi hanno abbandonato la transizione. Naturalmente sono stati omessi anche coloro che si sono suicidati. La maggior parte di loro ha iniziato ad assumere PB dopo i 17 anni (quando la pubertà era ormai avanzata). Poiché i PB sono generalmente somministrati solo a chi ha 12-16 anni, ciò significa che gli intervistati non rappresentano il gruppo su cui si concentra la presente revisione, che ha quindi una rilevanza limitata per quanto riguarda il consenso nei minori di 16 anni[39].
  • 2022 – Sapir L. “The Distortions in Jack Turban’s Psychology Today Article on ‘Gender Affirming Care’” in Reality’s last stand.
    • Lo stesso Turban lo riconosce: “il disegno trasversale dello studio… non consente la determinazione della causalità”. Quindi sì, supponendo che siamo disposti a ignorare gli altri problemi nello studio, i bloccanti della pubertà potrebbero essere “associati” a una riduzione dell’idea suicidaria, ma tale associazione potrebbe in realtà non avere nulla a che fare con la somministrazione di bloccanti della pubertà[40]
  • 2022 – Green J.  “Puberty Blockers, Cross-Sex Hormones, and Youth Suicide”, in The Heritage Foundation.
    • Lo studio Turban manca di informazioni e quindi non può apportare alcuna correzione statistica sulla salute mentale nel momento in cui i soggetti hanno richiesto la terapia ormonale. Gli intervistati che non sono stati in grado di ricevere la terapia ormonale nonostante affermassero di volerla potrebbero avere esiti peggiori sulla salute mentale perché hanno iniziato con problemi psicologici più gravi che hanno impedito loro di ottenere gli ormoni. I problemi di salute mentale preesistenti potrebbero essere la causa degli esiti successivi, non se hanno ricevuto gli ormoni. L’incapacità di risolvere questo tipo di incertezza su ciò che sta causando le differenze nei risultati della salute mentale è inerente al disegno di ricerca correlazionale impiegato da Turban e dai suoi colleghi[41].
  • 2022 – Cantor J. “United States District Court Middle District of Alabama Northern Division – Declaration of Dr. James Cantor
    • Lo studio di Turban e colleghi… è spesso citato come prova che il blocco puberale previene il suicidio nei giovani transgender. Tuttavia, questo studio ha utilizzato una metodologia di campionamento inaffidabile e distorta… Da questo disegno retrospettivo e trasversale non è possibile determinare alcuna causalità. Inoltre, lo studio non ha nemmeno valutato i desisters e i detransitioners… L’affermazione fuorviante di Turban di una minore ideazione suicida per i pazienti trattati escludeva i pazienti più gravemente malati di mente, ai quali sarebbe stato negato il trattamento di affermazione”[42].  
  • 2023 – Jackson D. “Suicide-Related Outcomes Following Gender-Affirming Treatment: A Review”, in Cureus, n. 15.
    • gli studi di Turban et al. “non contenevano informazioni su coloro che sono morti per suicidio. Infine, non è stato tenuto conto degli effetti dovuti alla storia diagnostica psichiatrica[43]
    • il miglioramento nel benessere mentale prospettato da Turban et al. come effetto delle cure ormonali, in realtà potrebbe essersi verificato “non solo a causa di differenze di salute mentale, ma all’aumento dell’età… Inoltre, gli individui più anziani potrebbero avere il vantaggio di aver ricevuto cure per la salute mentale per un periodo di tempo più lungo… La mancanza di considerazione della comorbilità psichiatrica e di altri fattori dinamici che aumentano il rischio di suicidio è potenzialmente la più grande limitazione in tutta la letteratura ad oggi disponibile che riguarda gli esiti di suicidio in seguito al trattamento di affermazione di genere[44].
  • 2024 – Florian D. Zepf, Laura König, Anna Kaiser, Carolin Ligges, Marc Ligges, Veit Roessner, Tobias Banaschewski, and Martin Holtmann “Beyond NICE: Aktualisierte systematische Übersicht zur Evidenzlage der Pubertätsblockade und Hormongabe bei Minderjährigen mit Geschlechtsdysphorie” in Zeitschrift für Kinder- und Jugendpsychiatrie und Psychotherapie, feb. 2024.
    • ha inserito la ricerca di Turban del 2020 nella categoria degli “studi di scarsa qualità (Turban et al., 2020)” con la motivazione che “gli autori dello studio non hanno riportato i dati per gli analoghi del GnRHa separatamente dagli altri interventi[45].
  • 2024 – Taylor J., Mitchell A., Hall R., Heathcote C., Langton T., Fraser L., Hewitt C.E. (2024) “Interventions to suppress puberty in adolescents experiencing gender dysphoria or incongruence: a systematic review”, in Archives of Disease in Childhood
    • Questa revisione di 50 studi conclude che “mancano ricerche di alta qualità che valutino la soppressione della pubertà negli adolescenti che soffrono di disforia/incongruenza di genere. Non è possibile trarre conclusioni sull’impatto sulla disforia di genere, sulla salute mentale e psicosociale o sullo sviluppo cognitivo. La salute e l’altezza delle ossa possono essere compromesse durante il trattamento. Anche studi più recenti pubblicati da aprile 2022 a gennaio 2024 supportano le conclusioni di questa revisione[46].
    • Uno studio trasversale è stato valutato di alta qualità, 25 di qualità moderata e 24 di bassa qualità (fra cui Turban et al. 2020)[47].

Con una serie così evidente di criticità, è sorprendente che autorevoli fonti del panorama sanitario, anche italiano, si appellino ai soli risultati di un singolo studio di qualità molto scarsa per motivare il loro incondizionato sostegno a un intervento che prevede cure ormonali non prive di effetti collaterali da somministrare a bambini e adolescenti che presentano importanti comorbilità psichiatriche e che, spesso senza alcun preavviso, durante o poco dopo il lock-down, hanno dichiarato un’identità transgender.

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[1] Turban J. L., King D., Carswell J. M., Keuroghlian A. S. (2020). “Pubertal suppression for transgender youth and risk of suicidal ideation”, in Pediatrics, n. 145.

[2] Per un approfondimento sulla qualità delle prove e sulla qualità degli studi, nell’ambito del dibattito Cass-Turban, si veda: Sapir L. (2024). “What Does Quality of Evidence Mean?” in https://www.city-journal.org/article/what-does-quality-of-evidence-mean

[3] James S. E., Herman J. L., Rankin S., Keisling M., Mottet L., Anafi M. (2016). “The Report of the 2015 U.S. Transgender Survey”. Washington, DC: National Center for Transgender Equality.

[4] “Conducted in the summer of 2015 by the National Center for Transgender Equality, the USTS was an anonymous, online survey for transgender adults (18 and older) in the United States” (pag. 4).

[5] “Thirty-nine percent (39%) of respondents reported currently experiencing serious psychological distress” (pag. 105).

[6] “Fifty-three percent (53%) of USTS respondents aged 18 to 25 reported experiencing current serious psychological distress” (pag. 106).

[7] “Given that pubertal suppression for transgender youth was not available in the United States until 1998,4 only participants who were 17 or younger in 1998 would have had health care access to GnRHa for pubertal suppression. We thus restricted the analysis to participants who were 36 or younger at the time of the survey, resulting in a sample of 20 619 participants” (pag. 3).

[8] D’Angelo R., Syrulnik E., Ayad S., Marchiano L., Kenny D.T., Clarke, P. (2021). “One size does not fit all: In support of psychotherapy for gender dysphoria”, in Archives of Sexual Behavior, n. 50, pag. 7–16.

[9] Nichols A.L., Maner J.K. (2008). “The good-subject effect: Investigating participant demand characteristics”, in The Journal of General Psychology, n. 135, pag. 151-165. 

[10]  Domanda 12.9: “Have you ever had any of the health care listed below for your gender identity or gender transition? (Mark all that apply.) [Respondents could not select “None of the above” in combination with any other option.] Counseling/Therapy, Hormone Treatment/HRT, Puberty Blocking Hormones (usually used by youth ages 9-16), None of the above”.

[11] Rispondendo alla domanda 12.11: “At what age did you begin taking Puberty Blocking Hormones? [Only respondents who selected “Puberty Blocking Hormones” in 12.9 received this question.]

[12] Si veda in proposito la seguente nota riportata nello studio di James et al.: “Although 1.5% of respondents in the sample reported having taken puberty-blocking medication, the percentage reported here reflects a reduction in the reported value based on respondents’ reported ages at the time of taking this medication. While puberty-blocking medications are usually used to delay physical changes associated with puberty in youth ages 9–16 prior to beginning hormone replacement therapy, a large majority (73%) of respondents who reported having taken puberty blockers in Q.12.9 reported doing so after age 18 in Q.12.11. This indicates that the question may have been misinterpreted by some respondents who confused puberty blockers with the hormone therapy given to adults and older adolescents. Therefore, the percentage reported here (0.3% or “less than 1%”) represents only the 27% of respondents who reported taking puberty-blocking medication before the age of 18”.

[13] Hembree W. C., Cohen-Kettenis P., Delemarre-van de Waal H. A., Gooren L. J., Meyer W. J. III, Spack N. P., Montori V. M. et al. (2009). “Endocrine treatment of transsexual persons: An Endocrine Society Cinical Practice Guideline”, in Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism, n. 94, pag. 3132–3154.

[14] Turban J. L., Keuroghlian A. S. (2018). “Dynamic gender presentations: Understanding transition and “de-transition” among transgender youth”, in Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, n. 57, pag. 451–453.

[15] Biggs M. (2020). “Puberty blockers and suicidality in adolescents suffering from gender dysphoria”, in Archives of Sexual Behavior, n. 49, pag. 2227–2229.

[16] Spack N.P., Edwards-Leeper L., Feldman H.A., Leibowitz S., Mandel F., Diamond D.A., Vance S.R. (2012). “Children and adolescents with gender identity disorder referred to a pediatric medical center”, in Pediatrics, n. 129, pag. 418–425.

[17] Lopez C.M., Solomon D., Boulware S.D., Christison-Lagay E.R. (2018). “Trends in the use of puberty blockers among transgender children in the United States”, in Journal of Pediatric Endocrinology and Metabolism, n. 31, pag. 665–670.

[18] Gooren L., Delemarre-van de Waal H. (1996). “The feasibility of endocrine interventions in juvenile transsexuals”, in Journal of Psychology and Human Sexuality, n. 8, pag. 69–74

[19] Green J. (2022). “Puberty Blockers, Cross-Sex Hormones, and Youth Suicide”, in The Heritage Foundation.

[20] Clayton A., Mallone W.J., Clarke P., Massone G., D’Angelo R. (2021). “Commentary: The Signal and the Noise -questioning the benefits of puberty blockers for youth with gender dysphoria- a commentary on Rew et. al.”, in Child Adolesc. Ment. Health, n. 27, pag. 259-262.

[21] “We are concerned that Rew et al.’s discussion of evidence about suicidality is unbalanced and misleading. Reading that puberty blockers had “positive outcomes [of] decreased suicidality in adulthood” will likely be understood as indicating causation. However, Turban et al. (2020), where this claim originates, noted that their study design did not allow for determination of causation, and “reverse causation” (individuals without suicidal ideation had better mental health and were more likely to be considered eligible for puberty blockers) was a plausible alternative explanation”.

[22] “Strengths of this study include its large sample size and representation of a broad geographic area of the United States”.

[23] Biggs M. (2022), “Suicide by clinic-referred transgender adolescents in the United Kingdom” in Archives of Sexual Behavior, n. 51, p. 685–690

[24] “Respondents who report suicide attempts are not necessarily indicating an intent to die”.

[25] “…almost half the respondents who reported attempting suicide subsequently stated that their action was a cry for help and not intended to be fatal”, in Nock M.K., Kessler R.C., “Prevalence of and risk factors for suicide attempts versus suicide gestures: Analysis of the National Comorbidity Survey”, in Journal of Abnormal Psychology, 2006, n. 115, p. 616–623.

[26] “…half the respondents who initially reported attempting suicide subsequently clarified that they went no further than imagining or planning it; for the remainder who did actually attempt suicide, their actions were usually not life-threatening”.

[27] Klonsky D., May A.M., Saffer B.Y. (2016). “Suicide, suicide attempts and suicidal ideation“, in Annual Review of Clinical Psychology, p. 307–330.

[28] Nella lettera firmata da 12 società medico-scientifiche nel gennaio del 2024, si legge che “fino al 40% dei giovani TGD [transgender e gender diverse] tenta il suicidio” e che “la terapia con triptorelina riduce del 70% questa possibilità (cfr. Turban JL et al. Pediatrics. 2020)”.

[29] Comunicato FDA, 1 luglio 2022, “Risk of pseudotumor cerebri added to labeling for gonadotropin-releasing hormone agonists”: “The Food and Drug Administration (FDA) has added a warning about the risk of pseudotumor cerebri (idiopathic intracranial hypertension) to the labeling for gonadotropinreleasing hormone (GnRH) agonists that are approved for the treatment of central precocious puberty in pediatric patients. These products include Lupron Depot-Ped (leuprolide acetate), Fensolvi (leuprolide acetate), Synarel (nafarelin), Supprelin LA (histrelin) and Triptodur (triptorelin). The new warning includes recommendations to monitor patients taking GnRH agonists for signs and symptoms of pseudotumor cerebri, including headache, papilledema, blurred or loss of vision, diplopia, pain behind the eye or pain with eye movement, tinnitus, dizziness and nausea. The FDA assessed the potential risk of pseudotumor cerebri with use of GnRH agonists in pediatric patients by reviewing post-marketing safety data submitted by the GnRH agonist manufacturers, searching the FDA Adverse Event Reporting System and conducting a literature search. Six cases were identified that supported a plausible association between GnRH agonist use and pseudotumor cerebri. All six cases were reported in birth-assigned females ages 5 to 12 years. Five were undergoing treatment for central precocious puberty and one for transgender care. The onset of pseudotumor cerebri symptoms ranged from three to 240 days after GnRH agonist initiation. Symptoms included visual disturbances (n=5), headache or vomiting (n=5), papilledema (n=3), blood pressure increase (n=1) and abducens neuropathy (n=1). Treatments included lumbar puncture (n=3), acetazolamide therapy (n=5) and ventricular peritoneal shunting (n=1). At the time of the FDA’s review, symptoms had resolved in three patients, were resolving in one patient, had not resolved in one patient, and one patient’s status was unknown. GnRH agonist therapy was discontinued in three patients; the status of continued therapy was unknown for the remaining three patients. The incidence rate of pseudotumor cerebri associated with GnRH agonist use in pediatric patients could not be reliably established due to the small number of cases and data limitations”.

[30] “Dr. Jack Turban found his research niche in the treatment of pediatric gender-identity disorders nearly a decade ago and quickly rose through the ranks of the discipline… In many of Turban’s published papers, the sources of the funding for his research reveal conflicts of interest. Particularly, his past work was made possible by a grant from the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry (AACAP), where Turban is a member of its media committee and where “it’s hard to get any contrary opinions on the symposia,” according to Levine. Most notably, AACAP is financially supported by pharmaceutical companies Arbor and Pfizer. Both produce off-label puberty blockers that inhibit the onset of physical changes aligning with a person’s sex. Given that even progressive European nations, such as England, France, Finland, and Sweden, have started to adopt an increasingly cautious approach towards minor gender transitioning, the relationship between Turban’s funding and his conclusions has come under scrutiny… The drug company is giving him a grant that will promote their product,” Levine claimed. Turban’s indirect benefactors Arbor and Pfizer manufacture Triptudor and Synarel, respectively, or gonadotropin-releasing hormone analogues (GnRHa) that are often recommended as initial treatment for adolescents diagnosed with gender dysphoria. Such treatment has potential long-term effects on future fertility, bone growth and density, and growth spurts, in addition to short-term effects such as weight gain and headaches. The FDA recently added another concerning side effect: pseudotumor cerebri, or high-pressure buildup in the brain that can cause progressive and permanent loss of vision if unaddressed. For a February 2020 study Turban co-authored titled “Pubertal Suppression for Transgender Youth and Risk of Suicidal Ideation”, he received a $15,000 Pilot Research Award for General Psychiatry Residents from the AACAP. The study conveniently found that administering GnRHa for puberty suppression for gender dysphoria during adolescence was correlated with fewer suicidal thoughts and better mental health among transgender adults. AACAP funding also sponsored a January 2022 study Turban co-authored titled, “Access to gender-affirming hormones during adolescence and mental health outcomes among transgender adults”, according to a Stanford press release. When asked for comment, an AACAP spokesperson replied that the organization adheres to strict transparency guidelines and properly reported the Turban-pharma connection. In a study published earlier this month titled, “Sex Assigned at Birth Ratio Among Transgender and Gender Diverse Adolescents in the United States,” Turban again reports financing from the AACAP Pilot Research Award”.

[31] “Their analysis is compromised by serious methodological flaws, including the use of a biased data sample, reliance on survey questions with poor validity, and the omission of a key control variable, namely subjects’ baseline mental health status”.

[32] “Further, their conclusions are not supported by their own analysis”.

[33] “The article therefore provided no evidence to support the recommendation “for this treatment to be made available for transgender adolescents who want it” (Turban et al., 2020, p. 7)”.

[34] “In sum, then, Turban et al. (2020) contributed nothing to our knowledge of the effects of suppressing puberty in adolescents”.

[35] “In short, nothing in Turban’s studies can refute the possibility that improved mental health was the result of something other than medical suppression of puberty… Despite acknowledging—if not as forcefully as he should have—within his own study the limitations of his findings, Turban sold his work to an eager media environment as having found strong evidence that puberty blockers are life-saving and medically necessary. And they gobbled it up uncritically”. 

[36] “For example, while one key confounding factor—prior mental health status—was indeed correctly identified by Turban et al., no strategy was articulated to deal with it. When discussing their finding that puberty suppression is associated with lower lifetime suicidality, they acknowledged that “reverse causation cannot be ruled out: it is plausible that those without suicidal ideation had better mental health when seeking care and thus were more likely to be considered eligible for pubertal suppression” (Turban et al., 2020). This is one of the most serious limitations of the study, introducing a high risk of bias, and reducing the certainty of the findings”.

[37] “…Turban et al.’s positive outcome findings included decreased past-month psychological distress, past-month binge drinking, and lifetime illicit drug use. However, Turban et al.’s univariate analysis showed only one of these three outcomes, past-month psychological distress, showed any significant difference, and this significance disappeared once demographic variables were controlled for in the multivariable analysis”.

[38] “There is also unclear use of the term suicidality, which exaggerates the implication of Turban et al.’s findings. Suicidality is a broad term, which is comprised of suicide attempts, plans, and ideation, and indeed this was the manner it was used by Turban et al. It is also important to note that Turban et al. made no assessment of completed suicides. Turban et al. assessed six areas of suicidality (including recent and lifetime suicide attempts, recent ideation with plans, recent and lifetime ideation) and found no association between puberty blockers and suicidality measures on five of the six areas. The only association was with “lifetime suicidal ideation.” Of course, any suicidal ideation is concerning, but suicide attempts are generally considered of higher concern, in terms of suicide risk assessment, than suicidal ideation

[39] “Turban (Citation2020) in a paper on the risk of suicidal ideation in young people given PBs concluded that suicidal ideation was reduced in those who had PBs. There are however serious weaknesses in their methodology: they derived the information from a voluntary survey of transgender adults in the U.S. Excluded from this sample of 89 respondents were people who had PBs and then de-transitioned. Any who had committed suicide were of course omitted. Most had started taking PBs after the age of 17 (when puberty would have been well advanced). Since PBs are generally given only to those who are aged 12–16, this means the respondents did not represent the group which is the focus of this review, and is therefore of limited relevance to consent in under 16s”.

[40] “Turban himself acknowledges this: “the study’s cross-sectional design… does not allow for determination of causation.” So, yes, assuming we are willing to ignore the other problems in the study, puberty blockers may be “associated” with reduced suicidal ideation, but that association may in fact have nothing to do with receiving puberty blockers”.

[41] “The Turban study lacks information on, and therefore cannot make any statistical adjustments for, the mental health at the time the subjects sought hormone therapy. The respondents who were unable to get hormone therapy despite saying they wanted it may have worse mental health outcomes because they began with more severe psychological issues that prevented them from obtaining the hormones. The pre-existing mental health challenges could be the cause of later outcomes, not whether they received the hormones. The inability to sort out this kind of uncertainty about what is causing differences in mental health outcomes is inherent in the correlational research design employed by Turban and his colleagues”.

[42] “The study by Turban and colleagues… is often cited as proof that pubertal blockade prevents suicide in transgender youth. However, this study used an unreliable, biased sampling methodology… No causation can be determined from this retrospective, cross-sectional design. Furthermore, the study failed to even assess Desisters and Regretters… Turban’s misleading claim of lower suicidal ideation for treated patients excluded the most seriously mentally ill patients that would have been denied affirmation treatment”.

[43] “There was no information from those who died by suicide. Finally, there was no accounting for effects due to psychiatric diagnostic history”.

[44] “There will be a higher likelihood of the presence of lifetime suicidal ideation but none for the past year not just due to mental health differences but as a function of increased age, i.e… Additionally, older individuals may have the benefit of potentially having a longer period of time receiving mental health treatment… The lack of accounting for psychiatric comorbidity and other dynamic suicide risk-enhancing factors may be the greatest limitation in the body of literature to date regarding suicidality outcomes following gender-affirming treatment”.

[45] „Studien mit mangelhafter Qualität (Turban et al., 2020; hier berichteten die Autor_innen der Studie die Daten für GnRH-Analoga nicht separat von anderen Interventionen“.

[46] “There is a lack of high-quality research assessing puberty suppression in adolescents experiencing gender dysphoria/incongruence. No conclusions can be drawn about the impact on gender dysphoria, mental and psychosocial health or cognitive development. Bone health and height may be compromised during treatment. More recent studies published since April 2022 until January 2024 also support the conclusions of this review”.

[47] “One cross-sectional study was rated high quality, 25 moderate quality and 24 low quality”. 

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