Glossario Gender Parte 3: “dead-naming”
Su richiesta di alcuni lettori, inauguriamo una rubrica nella quale esploreremo le definizioni del linguaggio LGBT+, per capire come vengono usate e a chi vengono attribuite queste etichette in chiave gender, ma anche per approfondire se siano effettivamente un punto di partenza scientifico e condiviso per poter parlare delle identità sessuali.
Definizione di “dead-naming” fornita dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia
DEAD-NAMING – Utilizzo del nome anagrafico precedente (o comunque il non utilizzo del nome elettivo) di una persona transessuale, transgender, gender non-conforming o non-binary senza il suo consenso. Sebbene spesso venga fatto non intenzionalmente, il deliberato utilizzo del dead-name (così come il misgendering) è una forma di violenza e di negazione dell’identità di genere di una persona non cisgender.
Fonte: Rainbow Map dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia
Punti di attenzione sulla definizione di “dead-naming“
La traduzione letterale di dead-name è “nome morto” a rappresentare che quel nome non esiste più e dunque non deve più essere nominato per non ferire la persona nella sua nuova identità per la quale ha scelto un nuovo nome.
La definizione fornita di dead-naming mette l’attenzione sulla violenza subita dalla persona che ha adottato l’identità transgender nel non veder riconosciuta la sua identità, ma non considera il diritto dell’altra persona (un genitore, un nonno, un fratellino, ecc.) di attenersi alla realtà oggettiva, e di non essere pronta a dire addio al nome della persona cara, per affermare una identità comparsa in maniera spesso repentina in un momento di malessere adolescenziale.
Secondo la logica della definizione sopra data, un bambino che chiama sua sorella di 14 anni con il nome di battesimo, invece che adottare il nome di elezione trans e definirla “fratello”, non sta semplicemente dicendo la verità, ma sta invece commettendo una grave violenza.
Inoltre, anche per il benessere della persona che mette in dubbio la sua identità di genere in età evolutiva, non è detto che l’adozione del nuovo nome sia la scelta migliore: spesso la confusione è solo temporanea e avere alcuni capi saldi, come i propri genitori, che si mantengono ancorati alla realtà, è d’aiuto. Nonostante la teoria di affermazione del genere riduca la resilienza dei giovani inducendoli a credere che ogni “misgendering” o “deadnaming” sia un attacco alla loro psiche e vada evitato anche a costo di isolarsi, i ragazzi sanno riconoscere chi ha a cuore il loro bene e il loro futuro; spesso, a posteriori, i desister e i detransitioner ringraziano quei genitori che hanno continuato a chiamarli con il loro nome, lasciando accesa la luce del faro verso casa.