Da trans a detrans

Dal punto di vista di un maschio detransizionista

Pubblichiamo una nostra traduzione di un articolo di @TullipR del 21 marzo 2022

Se “trans” significa “attraversare”, allora “detrans” significa “tornare” – tornare a casa.

C’è una ragione per cui le persone a volte si riferiscono alle loro identità trans in terza persona, perché c’è una tale disconnessione dentro di te, che inizi a creare un personaggio.

Gli dai un nome e cerchi di portare nella realtà l’immagine di come ti figuri che sia quel personaggio, attraverso una prospettiva distorta, attentamente controllata e filtrata.

Scatti 100 foto, ne cancelli 97 e poi le posti come se non avessi passato ore a farle venire bene. “Wow sei fantastica, oh mio Dio”… “sembri cis”… “100% pass!” “Immagina cosa ti farebbe la TOS (terapia ormonale sostitutiva)”.

La conferma degli altri diventa tossica.

A quel punto inizi a cambiare davvero il modo in cui il tuo personaggio invia i messaggi, rendendoti conto – nel caso del mio personaggio – che non usa un linguaggio abbastanza emozionale. Dicendo cose tipo “awwwwww” o usando qualsiasi altra espressione che sembrasse più simile al modo di esprimersi di una donna piuttosto che di un uomo.

Il tuo personaggio “unico” diventa un cliché stereotipato, che segue il flusso di ciò in quel momento i tuoi compagni trans considerano giusto o sbagliato.

Poi vai alla ricerca di altri personaggi, che convalidino e perfezionino il tuo personaggio.

Poi dici a tutta la tua famiglia che ora sei questo personaggio, e che lo sei sempre stato.

Comunichi il nome del tuo personaggio alla banca, all’assicurazione, al fornitore di energia e al gestore di telefonia mobile. Ora hai la prova che il tuo personaggio esiste.

Informi i tuoi medici che hanno il compito di far nascere questo personaggio e chiedi di essere inviato alla clinica del genere.

Ti stufi di aspettare e vai per la tua strada. Sai di cosa hai bisogno, hai bisogno della TOS! Prenoti una visita privata e ottieni due diversi pareri per 500 sterline.

Congratulazioni! Hai una diagnosi, non preoccuparti se è piena di errori e scritta in tutta fretta sapendo che il tuo obiettivo era ottenere la TOS e comunque probabilmente non li avresti corretti.

Stai ancora aspettando di accedere alla clinica di genere, ma visto che ora soddisfi i criteri, puoi iniziare la TOS con ormoni ponte! Evviva! Ce l’hai fatta!

Tutti gli altri personaggi si riuniscono per dirti quanto sono felici che finalmente tu abbia ricevuto la tua meritata TOS.

È il giorno più bello della vita del tuo personaggio.

La tua famiglia ti dice che è solo un personaggio.

Non smettono di preoccuparsi che tu stia facendo qualcosa di sbagliato, ti dicono: “Dai, questa non sei tu, è un personaggio!”.

“NO! QUESTO PERSONAGGIO È QUELLO CHE SONO! SONO SEMPRE STATO IO. BIGOTTI!”

Alcune famiglie non sanno che fare. Ti tagliano fuori. Non sopportano di stare a guardare. Sanno cosa sta per accadere. Alcuni familiari ti restano accanto: preferiscono esserci piuttosto che perderti.

Non stai bene. Torni online e dici alla gente: “Ehi, e se non fossi questo personaggio dopo tutto?”.

“….Sono loro il problema…”. “Questa è transfobia interiorizzata dalla tua famiglia transfobica, mi dispiace”.

Ricevi così tanta attenzione per la tua sofferenza, finalmente vieni ascoltato, racconti tutte le orribili cose omofobe che ti sono successe. Gli altri personaggi ti si stringono intorno, ti convalidano e sostengono.

Parlano come farebbe un venditore di un’auto rotta, nascondendo la verità e concentrandosi sul fatto che “ehi, ha le ruote, no?”.

Lavori duramente con un terapeuta e cominci a renderti conto del personaggio che hai creato.

Sei così disperato all’idea di perderlo, che sai cosa sei capace di fare per tenerlo in vita, anche se non lo vuoi davvero.

Chiedi di essere indicato per l’intervento chirurgico di riassegnazione del sesso.

Ti dicono di andare a depilarti. La tiri per le lunghe il più possibile, rimandi gli appuntamenti e inventi scuse.

Dovevano volerci 12 mesi e invece sono passati due anni e mezzo.

È il giorno prima dell’intervento, qualcosa ticchetta nella tua mente cercando di fare breccia in una formidabile barriera di dissonanza cognitiva.

Sdrai con cura il tuo personaggio sul lettino, pronto per l’intervento chirurgico che, sei convinto, ti farà stare meglio e ti salverà la vita.

Ti svegli in un letto d’ospedale. Il tuo personaggio è sempre stato semplicemente questo, sei tu. Ecco la grande rivelazione, si chiude il cerchio: la gravità di ciò che hai appena fatto ti colpisce con forza.

Non è come ve lo aspettavate ed è costellato di condizioni e clausole nascoste: incontinenza, perdite, zone insensibili, zone poco sensibili, dolore, infezioni alle vie urinarie, infezioni, scarsa energia, vene varicose…

A questo punto ti demoralizzi e ti rendi conto che non ne valeva la pena.

Riesci a raggiungere l’orgasmo, è questo è fantastico, ma in effetti ormai ti rendi conto che la tua disforia per i genitali non era poi così terribile, e in verità l’idea di stare con un altro maschio è un pensiero piacevole.

Poi ti rendi conto che in realtà hai scritto il tuo personaggio nel modo sbagliato, e nessuno ti ha dato una mano.

Sei gay e sei traumatizzato da una vita caratterizzata da una pesante omofobia.

Ti rendi conto che non c’è modo di tornare indietro.

Ma realizzi che puoi tornare a casa.

Puoi fare la detransizione, che significa buttare via il personaggio. Lo rottami, non è mai stato te, era una finzione idealizzata che non ha mai superato il test di realtà.

Sei sempre stato un’animo femminile, ma questo non significa che sei una donna, significa solo che sei un uomo femminile. E va bene così! Anzi, è liberatorio.

Sento che non ho più le catene e sono di nuovo me stesso, sono tornato a casa.

Riconosco che è stato sempre e solo un personaggio.

-TR

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