La ricerca di genere di cui abbiamo davvero bisogno

Riportiamo la traduzione di un articolo di di Mia Hughes, pubblicato il 15 aprile 2025 su Genspect.org


Per oltre un decennio gli adolescenti con identità transgender auto dichiarata sono stati soggetti inconsapevoli di un esperimento medico globale non regolamentato, sottoposti a trattamenti che in grado di danneggiare in modo permanente la loro fertilità, la loro funzione sessuale e la loro salute in generale.

Questi interventi sono stati effettuati senza una diagnosi chiara, gli studi fondamentali a sostegno dell’intero esperimento sono stati screditati e alcuni ricercatori attivisti hanno cercato di insabbiare i risultati negativi delle ricerche. Sono già in corso numerose azioni legali per negligenza, avviate da giovani che hanno subito danni irreparabili per mano dei fornitori di cure per l’affermazione di genere. Si tratta, senza dubbio, di uno dei più grandi scandali della medicina moderna.

Eppure, mentre continuano a emergere rivelazioni schiaccianti a un ritmo impressionante, la risposta dei principali esponenti esterni all’attivismo delle cure per l’affermazione di genere è stata sconcertante: invece di chiedere un’azione urgente per fermare in toto l’esperimento fallito e proteggere i giovani vulnerabili, c’è stata una richiesta sorprendentemente diffusa di “ulteriore ricerca”.

Una diplomazia discutibile

La dottoressa Hilary Cass ha trascorso ben quattro anni a indagare sullo scandalo, riscontrando la notevole debolezza delle prove a sostegno della soppressione della pubertà, il potente effetto che la transizione sociale ha sul percorso di sviluppo di un giovane, l’instabilità delle identità adolescenziali e gli alti tassi di neurodiversità e di problemi di salute mentale nei giovani trans-identificati. Il rapporto ha concluso che sono necessarie ulteriori ricerche per determinare se questi interventi medici sono sicuri ed efficaci. Per tutta risposta l’NHS è andato avanti con la sperimentazione clinica proposta per i bloccanti della pubertà.

Allo stesso modo il dottor Gordon Guyatt, spesso considerato il “padrino” della medicina basata sull’evidenza, ha dichiarato alla BBC che sono necessarie prove più solide per evitare che sia la politica a guidare la riflessione. Sul New York Times il giornalista Jesse Singal, noto per il suo straordinario reportage sulle carenze scientifiche alla base della medicina di genere pediatrica, ha sostenuto che ridurre la ricerca sui bloccanti della pubertà e sugli ormoni per i minori sarebbe un “tragico errore”.

Il problema principale di tale approccio diplomatico è che non c’è nessun bisogno di ulteriore ricerca su questi interventi medici. Non c’è bisogno di capire se bloccare la pubertà di adolescenti trascinati da un potente movimento culturale sia sicuro o appropriato. Sappiamo già che non lo è. Non servono altri studi per determinare se la soppressione della pubertà dia a questi giovani più tempo per riflettere sulla loro presunta identità di genere. Sappiamo già che non è così.

È ora di smettere di incaponirsi sulla raccolta di dati sugli effetti di questo trattamento medico sconsiderato e concentrarsi invece su ciò che sappiamo con assoluta certezza, ovvero che, in primo luogo, nessun bambino o adolescente ha la maturità cognitiva per comprendere appieno le conseguenze a lungo termine di questi interventi; in secondo luogo, che l’adolescenza è un periodo cruciale per lo sviluppo dell’identità, caratterizzato da sperimentazioni e grandi cambiamenti, e questo rende l’alterazione permanente dei corpi sani, a quest’età e sulla base di identità transitorie, una pratica non etica da parte dei medici. Il solo fatto che si sia considerato etico questo tipo di trattamento medico è incredibile. Che ancora nel 2025 si chieda di approfondire la ricerca è a dir poco stupefacente.

C’è un detto particolarmente adatto a chiarire quale tipo di ricerca serva veramente in questa fase avanzata dello scandalo medico: “se non vale la pena farlo, non vale la pena farlo bene”.

Basare la ricerca sulla realtà 

Per prima cosa esaminiamo la ricerca che non vale la pena fare. Non vale la pena cercare il modo più efficace per medicalizzare le identità degli adolescenti coinvolti nell’epidemia di disforia di genere alimentata da internet e dalla società. E’ vero che la ricerca esistente in questo settore è molto carente, ma la premessa fondamentale è talmente sbagliata in partenza, che non vale la pena tentare di incrementarla. Anzi, farlo significherebbe danneggiare altri giovani innocenti.

Non vale nemmeno la pena condurre studi che partano dal presupposto che i bambini trans, gli adolescenti trans o le identità di genere esistano, poiché questi concetti sono radicati in convinzioni ideologiche piuttosto che in prove scientifiche.

Passiamo ora alla ricerca che vale la pena fare, e che vale la pena fare bene.

Abbiamo un disperato bisogno di studi sulle malattie di massa indotte dai social media, con particolare attenzione alle identità transgender degli adolescenti. Nel 2019, quando  in Germania alcune ragazze adolescenti iniziarono improvvisamente a presentare sintomi simili a quelli della Tourette, i ricercatori si attivarono subito e stabilirono che il vettore era la piattaforma di social media TikTok.

È passato più di un decennio da quando è apparsa l’improvvisa ondata di ragazze adolescenti che si identificano come transgender e sono passati sette anni da quando la dottoressa Lisa Littman ha richiamato l’attenzione sul ruolo dei social media in questa epidemia, ma tutt’oggi non è stato condotto alcuno studio in merito. È giunto il momento di farlo.

Per aiutare i giovani coinvolti in questa sindrome culturale dobbiamo dirigere i nostri sforzi di ricerca verso la comprensione di ciò che nella nostra cultura ha destabilizzato un’intera generazione, portando così tanti a credere che le loro vite miglioreranno diventando pazienti clinici per tutta la vita. Dobbiamo esaminare l’impatto delle scuole che insegnano l’ideologia dell’identità di genere ai bambini come se si trattasse di scienza. Inoltre, dobbiamo studiare quanto influisce la celebrazione di personaggi pubblici che fanno coming out come transgender e l’effetto di programmi televisivi come “I am Jazz”.

Dovremmo condurre ricerche sui metodi psicoterapeutici più efficaci e appropriati per riconciliare corpo e mente. È ora di combattere l’idea che i tentativi di evitare la necessità di un intervento medico a vita siano paragonabili a una terapia di conversione, e di condurre una ricerca che sostenga il principio etico fondamentale di non nuocere.

Il concetto di persona transgender deve essere eliminato da tutte le attività di ricerca poiché si tratta di un costrutto politico piuttosto che di una classificazione scientifica. Al contrario, tutte le ricerche devono essere suddivise in sottogruppi che riconoscano le sottostanti sfide della vita, le comorbidità psichiatriche o i desideri parafiliaci che hanno portato una persona ad adottare un’identità transgender. Una ragazza adolescente che ha iniziato ad identificarsi come maschio dopo una violenza sessuale non fa parte della stessa coorte di ricerca di un uomo di mezza età che si identifica come una donna a causa dei suoi impulsi erotici. Eliminare l’eccessiva semplificazione del concetto di transgender dal quadro scientifico consentirà inoltre ai ricercatori di esaminare come i sintomi della depressione, dell’ansia, del disturbo borderline di personalità, dell’autismo e del disturbo da dismorfofobia corporea vengano erroneamente interpretati come disforia di genere in quest’epoca satura di messaggi dell’attivismo trans.

La cosa più importante è che la ricerca futura parta da una premessa corretta: tra tutti i giovani che hanno abbracciato l’identità politica transgender, nessuno possiede la maturità cognitiva o sessuale necessaria per prendere decisioni che cambiano la vita e che hanno conseguenze profonde sulla vita adulta. In parole povere, i ricercatori devono ricordare e applicare a questo gruppo di pazienti tutto ciò che già sappiamo sullo sviluppo adolescenziale.

Mai più danni

A questo punto è chiaro che la pratica di innescare disturbi endocrini in adolescenti sani e di rimuovere inutilmente parti del loro corpo è destinata a prendere posto a fianco alla lobotomia come uno dei crimini più gravi della medicina moderna.

Eppure, quando alla fine degli anni ’50 i danni della lobotomia divennero troppo evidenti per essere ignorati, nessuno chiese che venissero condotti altri studi per verificare quale fosse la metodologia più efficace: se la tecnica dei buchi nel cranio, quella del punteruolo da ghiaccio nell’orbita oculare o quella di non effettuare alcuna lobotomia. La psichiatria affrontò il suo disastroso errore, lasciando Walter Freeman da solo a difendere ostinatamente la sua invenzione.

Naturalmente, ci saranno molti Walter Freeman all’indomani dello scandalo odierno: fanatici dell’affermazione di genere che andranno nella tomba senza mai riconoscere la devastazione che hanno causato. Questo rende ancora più urgente, per chi è in grado di vedere come stanno le cose, la richiesta della fine immediata di questo esperimento.

Arrivati a questo punto, chiedere “più ricerca” sembra una scappatoia. Solo chi è accecato dall’ideologia può continuare a negare i danni catastrofici della medicalizzazione delle identità adolescenziali. Certo, è molto più facile dire “serve più ricerca” piuttosto che “abbiamo commesso un terribile errore”. Tuttavia, per quanto impegnativa possa essere questa ammissione, è un atto dovuto da tempo.


Mia Hughes è autrice di The WPATH Files e direttrice di Genspect Canada.

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