Non essere affermato mi ha salvato la vita

Non essere affermato mi ha salvato la vita

Nostra traduzione della testimonianza di Pear Joseph pubblicata da Genspect il giorno 11 febbraio 2025


Avevo cinque anni quando dissi a mia madre che ero una “ragazza intrappolata nel corpo di un ragazzo”. Tra i miei primi ricordi c’è quello di aver parlato con un terapeuta del perché mi sentissi così. Questo accadeva intorno al 2000, molto prima che gli uomini che si vestono o agiscono in modo non conforme al genere fossero ampiamente accettati. Naturalmente l’unica ragione per cui pensavo di essere una ragazza era perché ero attratto dalle “cose da ragazza”, ogni capo di abbigliamento che volevo indossare era un “vestito da femmina” e ogni giocattolo che sceglievo dalla corsia dei giocattoli era un “giocattolo da femmina”. Nella mia giovane mente pensavo che la spiegazione fosse semplice: dovevo essere una bambina!

Ripensandoci, mi ritengo estremamente fortunato ad essere nato alla fine degli anni ’90, prima che l’ideologia di genere diventasse il sistema di convinzioni diffuso che è oggi. Nel tempo sono cresciuto rendendomi conto di essere un ragazzo, invece di essere affermato e incoraggiato alla transizione come accadrebbe oggi ad un ragazzo come me.

Quando frequentavo la scuola elementare ho iniziato a vedere che i bambini e le bambine erano incoraggiati a preferire rispettivamente il blu e il rosa, non perché queste scelte fossero innate ma perché la società aveva queste aspettative. L’ illuminazione che ognuno vive la propria vita esibendosi per gli altri, indossando ciò che gli viene detto di indossare e comportandosi come gli viene detto di comportarsi, mi ha fatto sentire un po’ solo, ma è stata anche molto liberatoria. Ho scelto di non partecipare e di fare quello che sentivo giusto per me. Ho trascorso il resto dell’infanzia e dell’adolescenza sentendomi a mio agio con le parti della mia personalità che alcuni considerano femminili. Per esempio, ho persino attraversato una fase in cui mi truccavo regolarmente. Ma non ho mai più pensato che tutto questo facesse di me una ragazza. Capivo allora, come capisco oggi, che non esiste un unico modo corretto di essere uomo. Le tendenze vanno e vengono e ho visto come le scelte di stile per cui un tempo venivo bullizzato sono diventate di moda solo pochi anni dopo.

Nel febbraio di quest’anno il Free Press ha pubblicato un articolo sull’esperienza della terapeuta Tamara Pietze, costretta ad affermare la disforia di genere dei bambini. Mentre lavoravano presso la Mary Bridge Children’s Gender Health Clinic, Tamara e più di cento altri terapeuti hanno seguito un corso di formazione obbligatorio sulla “ terapia di affermazione di genere” durante il quale è stato loro insegnato a diagnosticare la disforia di genere nei giovani pazienti quando questi presentavano sei delle otto caratteristiche elencate di seguito:

1. Forte desiderio/insistenza di essere di un altro sesso

2. Forte preferenza per l’abbigliamento tipicamente associato al genere opposto

3. Forte preferenza per i giocattoli e i giochi tipicamente associati al genere opposto

4. Forte preferenza per i compagni di gioco di sesso opposto

5. Forte preferenza per i ruoli trasversali durante i giochi di simulazione

6. Forte rifiuto dei giocattoli più tipicamente associati al sesso assegnato

7. Forte avversione per la propria anatomia sessuale

8. Forte desiderio delle caratteristiche sessuali secondarie del genere opposto.

Questo articolo mi ha inorridito, così come la mancata reazione da parte dei gay e degli “attivisti LGBT”. Sono un uomo, non una donna transgender, eppure da bambino ho manifestato sei delle otto caratteristiche elencate. Anzi, direi che circa il 90% degli uomini gay adulti direbbe che queste caratteristiche descrivono come erano da bambini. Ci sono elementi che suggeriscono che le industrie mediche e della salute mentale potrebbero incoraggiare i giovani gay alla transizione, eppure se ne parla a malapena. La paura di essere bollati come “transfobici” da qualcuno in rete è così intensa che sta mettendo a tacere anche quegli adulti gay che sanno di poter essere stati oggetto di diagnosi errate sulla base di questi tratti.

La principale strategia intimidatoria utilizzata contro chiunque metta in discussione la crescente accettazione della transizione dei minori è quella di dire che il bambino si suiciderà se non gli verrà permesso di effettuare la transizione. Questa affermazione è discutibile, e in base alla mia esperienza personale credo che l’unico motivo per cui non mi sono suicidato sia stato il rifiuto di mia madre di convalidare le mie illusioni di essere una ragazza.

Se avessi fatto la transizione sociale da bambino, se avessi assunto dei bloccanti della pubertà da preadolescente e se mi fossi sottoposto ad interventi chirurgici permanenti da adolescente, mi sarei rovinato la vita. Mi sarei accorto in seguito dell’errore, mi sarei ritrovato con un seno, numerosi effetti collaterali dovuti ai bloccanti della pubertà e forse anche una “vagina” creata chirurgicamente che richiedeva una dilatazione a vita per evitare la chiusura.

Inoltre non avrei avuto la relazione d’amore che ho vissuto negli ultimi quattro anni con il mio compagno, un uomo gay che non è attratto dalle donne transgender. Sarei invece rimasto bloccato come paziente medico per tutta la vita, con il peso emotivo, fisico e finanziario di continui trattamenti ormonali, interventi chirurgici e visite mediche. Questo scenario mi avrebbe portato ad una profonda depressione e persino al suicidio.

In principio il termine “transgender” era usato per descrivere gli individui con disforia di genere che sceglievano la transizione medica per vivere nel sesso opposto. Tuttavia gli attivisti della sinistra radicale ne hanno ampliato la definizione, trasformandola in un vago “termine ombrello”. Sotto questo ampio ombrello c’è una lista infinita di altri termini vaghi come nonbinary, gender fluid e agender. Queste etichette sono solo una piccola parte delle complesse convinzioni associate all’ideologia di genere, che negli ultimi anni si è diffusa attraverso i social media, le università e la politica. Non c’è da stupirsi che molti bambini e giovani adulti credano di essere trans o non binari, dato che viene detto loro che se non sono al 100% stereotipati al maschile o al femminile non sono davvero un uomo o una donna. Nonostante sia promossa dai cosiddetti “progressisti”, l’ideologia di genere è, in realtà, palesemente sessista e omofoba. Rafforza gli stereotipi di genere e potenzialmente patologizza l’attrazione per lo stesso sesso, suggerendo che non rientrare nei ruoli di genere tradizionali possa significare di non essere maschi o femmine.

Per quanto mi riguarda, ci sono solo due modi in cui una persona può pensare al genere:

– L’opzione 1 sostiene che ci sono ruoli e comportamenti molto rigidi a cui uomini e donne devono conformarsi: gli uomini devono essere stereotipicamente maschili e le donne devono essere stereotipicamente femminili;

– L’opzione 2 sostiene che ci sono infiniti modi di essere uomo o donna, e tutti sono accettabili. Gli uomini possono truccarsi ed esprimere le loro emozioni; le donne possono avere i capelli corti e mostrare qualità “maschili”.

Se aderite all’opzione 1, la vostra visione è probabilmente sessista e regressiva. Tuttavia, se ci si allinea all’opzione 2,  sostenuta dalla maggior parte delle persone di sinistra, il termine “non binario” diventa superfluo. Infatti se ci sono infiniti modi di esprimere il genere, non si può “non sentirsi un uomo o una donna”, poiché l’espressione del genere è illimitata.

Ho osservato con crescente preoccupazione come le lesbiche che conosco da anni abbiano iniziato a identificarsi come uomini trans, mostrando con orgoglio le cicatrici della mastectomia sui social media. Uomini eterosessuali impacciati e nerd che ho conosciuto, che hanno sempre avuto problemi con i rapporti sentimentali, ora fanno coming out come “lesbiche trans”. Uomini gay sgargianti, un tempo apparentemente sicuri della loro sessualità, ora si identificano come non binari o adottano altre nuove etichette di genere, come se volessero allontanarsi dall’essere visti solo come uomini gay femminili.

Nei loro post di “coming out” c’è una sorprendente comunanza: le ragioni per cui non si identificano con il loro sesso biologico spesso si riducono a stereotipi riduttivi e a preferenze di abbigliamento. Le donne hanno passato decenni a cercare di scollegare il concetto di “donna” dagli stereotipi sessisti, eppure ora, ironia della sorte, alcune cosiddette donne “progressiste” affermano di non essere donne perché non rientrano in questi stessi stereotipi.

Come molti osservatori di questo fenomeno sociale ho cercato di essere comprensivo e rispettoso, pur chiedendomi come mai così tanti individui possano sentirsi “nati nel corpo sbagliato”. Anche se sospetto che molti di questi potrebbero in seguito pentirsi della loro decisione di aver effettuato una transizione medica, credo che gli adulti debbano avere piena autonomia sul proprio corpo. Tuttavia non posso permettere che questa ideologia potenzialmente dannosa influenzi i bambini. Nel frattempo, ogni volta che, apparentemente ogni pochi mesi, un nuovo “bambino trans” fa scalpore su Internet, io penso “avrei potuto essere io”.

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