Non ho firmato per la transizione di mia figlia, non ho ceduto ai ricatti: a 18 anni ha cambiato idea.

Quando è iniziato questo incubo, 5 anni fa, in Italia nessuno sapeva nulla di gender. Ricordo che qualche anno prima ero passata davanti alla vetrina di un partito conservatore e si parlava di teoria gender. Ricordo di avere riso e aver pensato “bigotti!”

Sono cresciuta in un ambiente di sinistra e tutto quello che avevo letto o sentito in merito alla teoria gender era che… non esisteva. Non conoscevo nessuna persona transgender e nel mio immaginario una persona trans era un uomo adulto che a un certo punto della sua vita aveva deciso di passare al sesso femminile. No, non pensavo fosse una malattia… in realtà non pensavo nulla; sapevo solo che – se qualcuno me lo avesse chiesto – avrei “votato” una legge per proteggere la categoria. Ma pensavo che fosse un disagio che insorgeva in tenera età e che, ripeto, riguardava pochissimi uomini. Mai sentito di nessuna ragazza/donna che volesse diventare uomo. Mentre di omosessualità si è sempre parlato, maschile o femminile, questa per me era veramente una piccolissima nicchia. Non capivo perché nel 2010 ci si dovesse preoccupare di una fantomatica teoria gender. E quindi – sinceramente – non ascoltavo. Tanto più quello che veniva da una “campana” di destra, fortemente ideologizzata: non ascoltavo nulla.

Per questo spero che quanti leggeranno la mia storia tengano presente che non ho nessun tipo di preconcetto ideologico, morale, religioso. Per me, mia figlia avrebbe potuto scegliere di essere chi voleva, in ogni suo aspetto. L’avrei sostenuta e aiutata. 

Ho provato a scrivere la storia di mia figlia nei dettagli, ma è troppo lunga e penso che quello che può interessare gli altri genitori è sapere che TUTTE le storie di ragazze che soffrono di disforia di genere che ho incontrato nei 5 anni di ricerca sono UGUALI. E che questo non può essere una coincidenza. Tutte ragazze con difficoltà a socializzare, bullizzate e che hanno avuto un pessimo rapporto con la figura maschile. Alcune purtroppo abusate. Molte come lei hanno avuto problemi con il loro corpo: troppo grasse? Troppo magre? Comunque non corrispondenti agli standard proposti dai social. 

E tutte passate dagli stessi processi “evolutivi” repentini, da un giorno all’altro: capelli rasati, vestiti maschili, utilizzo dei bagni degli uomini, autolesionismo di diverso tipo, uso di parolacce, minacce di suicidio. Ho appena scoperto che molte facevano quello che faceva mia figlia: disegnarsi barba e baffi e mettersi carta igienica nei pantaloni, tanto per dare l’idea. Fissazione con anime e manga, musica e altri cartoni animati che facilitavano l’accettazione di “trasformazioni” in qualunque cosa, negazione di qualunque realtà biologica di esistenza di due generi. Qualunque dubbio o tentativo di riflessione bollato con il termine “transfobico”, tanto da rendere impossibile qualunque tipo di lavoro terapeutico.

Per questo motivo ci fu suggerito di andare al MIT (Movimento Transessuale Italiano), perché tutti gli psicologi gettavano la spugna. Con mille dubbi ci siamo andati. Risultato: dopo 5 o 6 sedute -di 30 minuti l’una- mia figlia sostiene che la psicologa le ha detto che sarebbe pronta per la transizione, ma il problema siamo noi genitori. Io allora chiamo disperata la psicologa per cercare di capire.

Unico commento: “suo figlio soffre molto”.

Io chiedo allora che tipo di indagine abbiano condotta su mia figlia in 3 ore di lavoro, nell’arco di pochi mesi. Risposta vaga…. senza senso. Ma in 3 ore che cosa possono aver sondato per concludere che si possa procedere all’assunzione di farmaci che medicalizzeranno mia figlia a vita, la sterilizzeranno e la porteranno alla mastectomia? Ancora adesso mi sembra che tutto ciò sia assurdo. Veramente devo spiegare a psicologi e psichiatri che prima di prendere decisioni così pesanti ad un’età così fragile bisognerebbe aspettare anni? Che la loro affermazione “preferisce un figlio vivo o una figlia morta” – senza neanche avere visto mia figlia – è di una incompetenza e crudeltà incredibili?

Ripeto, a me quello che fa impressione mentre scrivo non è tanto mia figlia che, in quanto adolescente, si sta comportando da adolescente: mi sta sfidando, mi sta mettendo in discussione, si sta informando sui social media. A me quello che letteralmente sconvolge è che il personale medico sanitario italiano -che ne sa qualcosa- spinga alla transizione. O meglio che appoggi quel percorso “psicologico” proveniente dal nord Europa e dagli USA definito “affermante”, che ritiene cioè che se un bimbo – di qualunque età – dichiara di essere del sesso opposto, vada assecondato.

Ora vi chiederete, come sta mia figlia? Mia figlia è tornata a farsi chiamare al femminile da tutti meno che dalla famiglia… ma credo che questo sia un altro discorso. Ci deve ancora contestare un po’. Ma sta bene. Si vuole bene. Si prende cura di sé stessa. Si veste in modo femminile. Anche se, per queste ragazze, vestirsi da femmina non vuol dire nulla. Nel loro cortocircuito logico se un bambino maschio vuole vestirsi da femmina è una bambina trans, ma allo stesso tempo un uomo trans ha il diritto di vestirsi da donna… e pretendere di essere chiamato con pronomi maschili. 

Dal sostenere di essere disgustata dal corpo maschile, e di amare solo le donne, ora ha una bellissima relazione con un ragazzino coetaneo. Sottolineo il fatto che se mia figlia fosse stata lesbica per me sarebbe andata benissimo. Cioè, ripeto: la vita è la sua ed è giusto che faccia le sue scelte. Ma a 14, 15, 17 anni, non si può prendere alla lettera quello che diciamo. Parlo in prima persona perché a 14 anni neppure io ero felice di essere donna, così come tante coetanee. Ci vuole del tempo per accettarsi per quello che si è, in tutte le nostre sfumature. Figuriamoci per iniziare processi di trattamenti irreversibili in un momento così delicato.

Credo che il nostro compito di “adulti” – soprattutto se medici – sia quello di guidare i più giovani alla propria accettazione, all’amore verso sé stessi. Poi, se si è grandi, e dopo un serio percorso di analisi non ce la si fa… beh, questo è un altro discorso. 

Ma ora concentriamoci su bambini e giovani adulti che stanno passando un momento di fragilità e si stanno aggrappando al mondo trans: perché sono loro che vanno protetti

Sono una mamma di “sinistra” che ha lottato per poter affermare il proprio valore come donna. Non mi interessa se vengo chiamata transfobica o bigotta, da mia figlia stessa. Le ho sempre detto che non avrei mai firmato quelle carte (per acconsentire alla transizione medica), che soltanto lei stessa avrebbe potuto farlo una volta raggiunta la maggiore età. E quando quell’età è arrivata lei ha cambiato idea.

Pensate se avessi ceduto ai suoi ricatti, tutti naturalmente suggeriti dai vari contenuti social che vedeva e che purtroppo io guardavo a mia volta. Se avessi ceduto ai suoi tagli, alle sue scenate, alla sua disperazione, ai suoi insulti. Sì, sarebbe stato nel breve periodo più facile. Avrei fatto la figura della mamma “avanti”. Ma ora avrei una figlia con mastectomia e obbligata ad assumere medicine a vita. Probabilmente sterile. Calva? Forse. Sicuramente con una voce metallica per sempre. 

Vi lascio con una domanda: una domanda a chi ci accusa di volere il male dei nostri figli: ma voi lo sapete, ma veramente, a cosa vanno incontro? C’è veramente da celebrare la cosa con programmi TV e colpevolizzare quei genitori che contro tutto e contro tutti stanno semplicemente dicendo di procedere con estrema cautela prima di far medicalizzare e operare i propri?

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