Transizione di genere in Italia: quanto dura (davvero) il percorso per cambiare sesso?

Negli ultimi tempi, la stampa ha iniziato a diffondere con insistenza il messaggio secondo cui in Italia i centri specializzati nel trattamento della disforia di genere sarebbero insufficienti, così come i percorsi di transizione sarebbero troppo lunghi. Recentemente, in un importante quotidiano nazionale, il presidente di un’associazione che si occupa della salute delle persone transgender ha ribadito con determinazione che le persone transgender sono costrette a un’attesa angosciosa, che può durare mesi o addirittura anni, prima di essere prese in carico, asserendo che per sottoporsi a interventi chirurgici e ottenere una riattribuzione anagrafica del sesso si debba attendere un periodo che si estende tra i cinque e i sette anni. In commissione parlamentare è stato altresì riferito che un percorso di transizione standard può durare anche 10 anni.

Questo allarme, che sembra ignorare la complessità del problema e la necessità di un approccio cauto e personalizzato, ha il preciso intento di sollecitare le istituzioni a velocizzare ancor di più i percorsi di transizione degli adolescenti, privilegiando inevitabilmente la rapidità rispetto alla qualità dell’assistenza sanitaria.

Ma i percorsi di transizione sono davvero così lenti e tortuosi come viene raccontato?

Le esperienze dirette dei genitori di GenerAzioneD

La posizione di GenerAzioneD su questo tema è nota, così come l’impegno costante nel promuovere un dibattito serio e consapevole sul tema dell’incongruenza e della disforia di genere, rifuggendo da influenze ideologiche e pregiudizi.

Grazie all’esperienza diretta di oltre 150 genitori associati, GenerAzioneD può condividere testimonianze concrete e storie di vita che offrono una prospettiva approfondita anche sulla durata e sulla complessità dei percorsi di transizione.

Alcuni dei “nostri” giovani adulti hanno già concluso, o sono in procinto di concludere, il percorso di transizione di genere, con una celerità che desta profonda inquietudine nelle loro famiglie.

La grande preoccupazione è dovuta al fatto che decisioni di tale portata, caratterizzate da un’irreversibilità così marcata, vengano prese troppo rapidamente e in così giovane età, col rischio che possano poi incidere in modo indelebile sulle esistenze già troppo tormentate di questi ragazzi, che il più delle volte soffrono di disturbi psicologici o psichiatrici.

Stefania, appena diciassettenne, emerge dall’isolamento del lockdown con una nuova e improvvisa consapevolezza, forgiata dalle ore trascorse immersa nel web. In modo imprevisto e inaspettato, si auto-diagnostica la disforia di genere, senza che in passato alcun segno premonitore avesse mai suggerito questa possibilità. Al compimento dei diciott’anni, con la determinazione che la caratterizza, si prenota una visita al Centro per la disforia di genere dell’Ospedale civile della sua città, pagando il ticket sanitario con i suoi risparmi. Dopo 30 giorni Stefania effettua la prima visita e, a seguito di alcuni incontri di accompagnamento alla transizione, in appena sei mesi ottiene il certificato di disforia di genere. Dopo la visita con l’endocrinologo, inizia ad assumere testosterone e presenta istanza al tribunale per la rettificazione del sesso di nascita. La sentenza arriva dopo altri sei mesi, autorizzandola agli interventi chirurgici. Sono trascorsi appena 18 mesi dalla prima visita alla sentenza.

Maria ha 25 anni quando emerge da un decennio di relazione tossica e soffocante con un ragazzo, un periodo che ha scavato profondamente nella sua anima, lasciandola con un vuoto emotivo che sembra incolmabile. E’ disperata e alla ricerca di risposte, che trova sui social, convincendosi che la causa delle sue profonde sofferenze potrebbe risiedere nel fatto di essere “nata nel corpo sbagliato”. Si rivolge quindi a una psicologa, sperando di trovare sollievo, ma dopo appena un mese di colloqui, la professionista suggerisce a Maria che iniziare un percorso di transizione rappresenta la giusta soluzione ai suoi problemi. Questa ipotesi, presentata con una rapidità che lascia poco spazio alla riflessione, diventa la chiave per aprire una porta che instrada Maria verso un percorso irreversibile. Con il suo pregresso di sofferenza emotiva, la psicologa prescrive a Maria una visita da uno psichiatra del SSN, il quale, in una sola seduta, le rilascia un certificato di “presunta disforia di genere”. Questo documento diventa il lasciapassare per l’assunzione di testosterone e per la richiesta al tribunale di rettificazione dei dati anagrafici. La sentenza arriva dopo soli 12 mesi dalla prima visita e in appena 18 mesi Maria si sottopone alla doppia mastectomia, completando così il suo percorso di transizione. Tuttavia, le ferite che l’hanno accompagnata per anni, le sofferenze che nessuno ha ritenuto opportuno esplorare a fondo prima di prendere decisioni sul corpo, permangono intatte, continuando a gravare pesantemente su di lei. 

Francesca porta nel cuore le cicatrici di un trauma che ha segnato la sua adolescenza: un’aggressione subita in un luogo pubblico, che ha aperto la strada a un lungo periodo di sofferenza. Durante gli anni dell’adolescenza, il dolore si è manifestato sotto forma di disturbi alimentari, aggravati successivamente da una relazione devastante con un uomo narcisista molto più grande di lei, conosciuto all’università. Quella relazione, intrisa di manipolazione e squilibrio emotivo, ha lasciato Francesca fragile e vulnerabile, preda di attacchi di panico sempre più frequenti. Nel tentativo di trovare sollievo, Francesca intraprende un percorso terapeutico con uno psicologo che abbraccia con convinzione le teorie gender. È in quel contesto che Francesca si auto-diagnostica la disforia di genere, una diagnosi mai certificata da alcun professionista. Spinta dal desiderio di liberarsi dal peso che sente dentro di sé, decide di sottoporsi a una doppia mastectomia e si rivolge a una struttura estera dove non è richiesta la presentazione di un certificato diagnostico. In appena 18 mesi dall’auto-diagnosi, Francesca affronta l’intervento chirurgico. Ora ha 27 anni, ha abbandonato gli studi universitari alle soglie della tesi e vive immersa in un complesso intreccio di problematiche psicologiche, che sono state certificate da psichiatri e psicologi. Si è allontanata dalla famiglia e dai fratelli, assume psicofarmaci per cercare di gestire il dolore interiore che continua a tormentarla e ha manifestato la volontà di iniziare le terapie ormonali alla ricerca di una felicità forse illusoria. Tuttavia, ciò che emerge con forza è il fallimento di chi avrebbe dovuto aiutarla: invece di affrontare le radici profonde delle sue sofferenze, l’attenzione si è concentrata esclusivamente sulla disforia di genere, lasciando irrisolti i nodi più intricati della sua fragilità emotiva. 

Marco ha appena compiuto 20 anni, ma la sua storia sembra aver attraversato una vita intera in un battito d’ali. Il suo percorso è stato fulmineo, quasi improvviso, come una decisione presa in una notte di tempesta, quando i pensieri si accavallano e il bisogno di trovare un senso diventa urgente, quasi insopportabile. Prima di compiere 18 anni, immerso nel periodo COVID, Marco è entrato in contatto con un gruppo online che lo ha convinto di essere nato nel corpo sbagliato. Ha acquistato ormoni in rete e dopo l’assunzione in autonomia ha iniziato a sviluppare comportamenti aggressivi. Non appena ha raggiunto la maggiore età, Marco ha intrapreso all’improvviso un cammino che lo ha portato a ottenere rapidamente una sentenza di rettificazione anagrafica, grazie alla quale si è sottoposto all’intervento di penectomia. Il percorso di affermazione è stato incredibilmente rapido, tanto che chi lo ama profondamente non riesce a comprendere le motivazioni che sottendono alla velocità con cui Marco ha scelto di trasformare il proprio corpo. Vent’anni e il suo percorso si è già concluso

Quelle di Stefania, Maria, Francesca, Marco (che sono ragazzi reali, protetti da nomi di fantasia) sono solo alcune delle storie dei “ragazzi di GenerAzioneD”. Storie caratterizzate da un intreccio di determinazione e fragilità, racconti che testimoniano una rapidità inspiegabile verso la medicalizzazione e la mutilazione chirurgica e che lasciano i genitori perennemente sospesi tra la preoccupazione e l’inquietudine, nel costante timore che la velocità di questi percorsi – presentati come “salva vita” – possa aver lasciato qualcosa di irrisolto nel profondo dell’anima dei loro fragili figli e portare più disperazione che felicità.

Le dichiarazioni pubbliche dei professionisti medici

Per farsi un’idea sui reali tempi del rilascio del certificato di disforia di genere e sulla durata del percorso, è sufficiente seguire le conferenze promosse dai professionisti sanitari che lavorano nei centri di disforia di genere. 

Ad esempio, nel recente incontro organizzato a Trieste nel gennaio 2025 dalla Consulta di Bioetica Onlus, in collaborazione con l’Ambulatorio Pediatrico per la Varianza di Genere APEVAGE, la Dr.ssa Lucia De Zen, riferendo in merito al tempo necessario per arrivare ad una diagnosi, ha dichiarato quanto segue: “allora tendenzialmente io direi che si sta almeno sui sei mesi adesso, le tempistiche erano più lunghe all’inizio… Adesso come adesso le tempistiche si sono ridotte, direi che tendenzialmente da quando cominciano e fanno la visita col dottor… quindi insomma io direi minimo adesso sei mesi… Abbiamo accorciato i tempi però è comunque lunga…”.

I genitori di GenerAzioneD se lo sono sentiti dire, tutti e a più riprese, in qualsiasi centro pubblico o privato a cui si siano rivolti e ora lo confermano pubblicamente anche i professionisti sanitari nei convegni: al massimo sei mesi e la diagnosi arriva inesorabile a tutti i giovani che dichiarano di avere un’identità di genere diversa, indipendentemente dalle condizioni di salute psicologica e dal vissuto traumatico che possono portare.

La nuova frontiera delle diagnosi ottenute in internet

Nel caso sei mesi fossero ritenuti troppo lunghi per iniziare un trattamento medico a vita, con relativi interventi chirurgici, è sempre possibile ricercare in internet soluzioni ancor più rapide. Esistono siti italiani che promettono di rilasciare relazioni affermative in pochissimi incontri, finalizzati a costruire il proprio percorso personalizzato “nel minore tempo possibile”. La “relazione affermativa” è necessaria, come ricorda un sito molto gettonato tra i giovani, “per poter accedere ai percorsi di affermazione di genere medico (inizio terapia ormonale affermativa GAHT e interventi chirurgici, top e bottom surgery)” e “viene co-costruita” fra psicologo e giovane. Con “top surgery” si intende rimozione dei seni e maschilizzazione del torace sulle femmine e femminilizzazione del torace nei maschi, mentre con “bottom surgery” si intende la falloplastica su genitali femminile o penectomia e vaginoplastica su corpo maschile. Questo approccio genera inquietudine fra i genitori, poiché il sito garantisce che lo psicologo non cercherà conferme o prove dell’identità di genere, in quanto ogni storia è unica e valida. Per la stesura delle relazioni, il sito dichiara di fare riferimento agli standard internazionali WPATH SOC-8, l’associazione privata al che si occupa di fornire indicazioni sulla salute delle persone transgender e che nel 2024 è stata al centro di numerosi scandali. Il modello di WPATH, è bene ricordarlo, promuove l’immediato allineamento sociale e medico all’identità di genere auto-dichiarata, raccomandando: uso di bloccanti della pubertà all’inizio dello sviluppo puberale, somministrazione di ormoni cross-sex a vita a partire da 14 anni e interventi chirurgici (come la doppia mastectomia) a partire dai 15 anni (“Raccomandazione 12” del SOC-8, redatto da WPATH).  

Sulla durata del percorso per ottenere la relazione il sito tranquillizza e garantisce rapidità: “Dalla nostra esperienza in media sono necessari 2/5 colloqui esplorativi della durata massima di 90 minuti ad incontro”.

E dopo la relazione, rilasciata in pochi incontri al modico prezzo di 50 euro l’uno, la visita dall’endocrinologo, per qualcuno, è persino gratuita. “Le relazioni sospese sono un’iniziativa che prende ispirazione dalla tradizione dei ‘caffè sospesi’, dove qualcuno che può permetterselo paga un caffè extra per chi non può. In questo caso… ogni mese, un numero di visite endocrinologiche gratuite è messo a disposizione di chi si trova in difficoltà economica”. 

Questo scenario, accessibile con un semplice clic a ogni ragazzo o giovane adulto in cerca di risposte, dipinge un quadro inquietante: i percorsi di affermazione, lungi dall’essere lunghi e ponderati, si rivelano spesso terribilmente rapidi, quasi sbrigativi, come se la profondità delle vite coinvolte potesse essere ridotta a poche sedute e a decisioni prese in fretta.

È una corsa contro il tempo che rischia di lasciare dietro di sé frammenti di identità non ancora esplorati, ferite emotive non curate e domande lasciate senza risposta.

In questa estrema semplificazione, travestita da efficienza, si cela un pericolo silenzioso: il rischio di sacrificare la salute e il benessere di chi si affida a questi percorsi, confidando in una guida che troppo spesso sembra non dare valore al tempo e alla riflessione che meritano scelte tanto profonde, quanto irreversibili.

L’esperienza degli studi legali  

Un parere autorevole sulla durata dei percorsi lo si può reperire anche nei siti degli studi legali che si occupano di transizione di genere. Uno degli studi più importanti in Italia, che vanta oltre 700 ricorsi per il cambio di genere andati a buon fine, illustra nel dettaglio tutto il percorso necessario per giungere alla transizione, fin dalla prima visita. Il sito, alla voce “percorso di transizione di genere” riporta una durata media” di “7 mesi, riferendosi presumibilmente ai loro ricorsi e al periodo intercorrente fra il deposito dell’istanza in Tribunale e la sentenza di rettificazione anagrafica.

Il sito dello studio legale fornisce anche indicazioni su come ottenere il certificato di disforia da un professionista sanitario (psicologo o psichiatra), individuando due percorsi distinti, a seconda che si decida di affidarsi all’ambito privato o al sistema sanitario pubblico: “In pratica, è possibile fissare il primo appuntamento entro 1 o 7 giorni, secondo la disponibilità del professionista… Generalmente, questi professionisti richiedono un percorso che in media prevede 5-6 incontri, secondo la loro discrezionalità per il caso specifico”. Nel pubblico, il percorso è definito più lungo e burocratico, ma neanche tanto: “Gli incontri presso i centri specializzati pubblici richiedono solo il pagamento del ticket di 36 €, per coprire circa 8 sedute. Tutte le strutture pubbliche utilizzano necessariamente i protocolli ONIG o WPATH”.

Dopo aver svolto in media 5 o 8 sedute, a seconda che si intenda rivolgersi al privato o al pubblico, il certificato viene quindi rilasciato e permette di iniziare la terapia ormonale, presentando al contempo istanza al Tribunale per la rettificazione anagrafica e per l’autorizzazione agli interventi chirurgici. Il sito ricorda che “la prima udienza, in genere, si svolge dopo 2-3 mesi dal deposito del ricorso”. 

Il sito ricorda che non è possibile poter prevedere la durata certa dell’iter legale, poiché ogni tribunale di ogni città ha tempi differenti, ma si può indicare “una durata media di circa 18 mesi senza il supporto di un avvocato che non si occupa di questa materia e di 6 mesi con un avvocato che segue casi analoghi.

Il sito svela anche un piccolo segreto ricordando che in alcuni tribunali, i processi introdotti con il loro supporto legale “si sono conclusi anche in 3 o 4 mesi”. Insomma, se ci si affida a professionisti capaci e si privilegia l’ambito privato a quello pubblico, dopo 5 o 6 incontri si può ottenere il certificato e iniziare la terapia ormonale per arrivare a sentenza in sei mesi o anche meno. Poi, le porte della chirurgia possono spalancarsi come un sipario che si apre su nuovi palcoscenici, pronti a ospitare vite e corpi trasformati, in una nuova dimensione nella quale si arriva di getto e dove il diritto di ripensamento è l’unico diritto che non ha cittadinanza.

E gli ordini professionali medici cosa dicono?

Nonostante il mito (continuamente evocato in assenza di numeri certi) racconti di interminabili e tortuosi percorsi di transizione di genere, chi i numeri li conosce e li divulga, come il sito legale sopra menzionato, conferma che quella verso la transizione di genere è diventata una corsa inarrestabile dall’esito rapido e garantito. Oggigiorno, grazie a certi percorsi accelerati, è possibile ottenere il certificato necessario per iniziare la terapia ormonale in poche sedute o, nei casi più complessi, in pochi mesi. Questa velocità, sebbene possa sembrare un vantaggio per chi cerca di autoaffermarsi, solleva serie preoccupazioni sulla qualità dell’assistenza medica fornita ai nostri ragazzi e sulla reale capacità di consenso di una persona che, soprattutto se si tratta di un giovane adulto con traumi pregressi o con fragilità psicologiche e interiori, non ha avuto il tempo necessario per una riflessione adeguata, prima di affrontare scelte irreversibili. 

Gli ordini professionali medici, che avrebbero il dovere di vigilare sulla qualità delle diagnosi di disforia di genere, sono più impegnati a promuovere le logiche identitarie e a reprimere voci dissonanti, mentre dovrebbero intraprendere anch’essi una profonda riflessione interna, scevra da condizionamenti ideologici e interessi non dichiarati, al fine di garantire che i percorsi di transizione vengano condotti con la dovuta serietà e la necessaria attenzione alla persona nella totalità dei suoi bisogni.

È un impegno morale e professionale che richiede coraggio e integrità, così da assicurare a ogni individuo l’assistenza sanitaria di cui ha realmente bisogno e alla quale ha diritto, senza rischiare di comprometterne la salute e il benessere.

Dopo una mutilazione corporale di organi sani, il pentimento anche di un solo individuo è di troppo.

La preoccupazione crescente dei genitori davanti alla (spesso improvvisa) corsa senza freni dei propri figli verso la transizione medica di genere è un fiume impetuoso che scorre inesorabilmente in un flusso di emozioni laceranti, un lamento silenzioso che risuona straziante nell’anima, un monito che non smette di ricordare a tutti, soprattutto ai professionisti sanitari seri e coscienziosi che ancora esistono, che certe decisioni, una volta prese, non possono essere annullate

Chi ha qualcosa da dire, trovi il coraggio di alzarsi in piedi e di fare un passo avanti. Adesso.

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