Il contagio sociale trans non riguarda solo i pazienti adolescenti ma anche la professione medica

Medici disorientati.

Il contagio sociale trans non riguarda solo i pazienti adolescenti ma anche la professione medica.

Traduzione di un articolo di di Dianna Kenny pubblicato su Gender Clinic News il 5 febbraio 2025

“Nel tempo dell’inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario” – George Orwell


Il contagio sociale all’interno della professione medica e psichiatrica è stato documentato più volte, ma non ha mai ricevuto la sua giusta denominazione.

Ad esempio, una procedura chirurgica nota come lobotomia frontale prevedeva la distruzione del tessuto cerebrale in persone affette da malattie mentali croniche. È stata acclamata come la cura miracolosa per una serie di condizioni psichiatriche precedentemente intrattabili.

Nel 1949, Egas Moniz vinse il premio Nobel per aver ideato la procedura, che fu poi praticata su migliaia di sfortunati pazienti in tutto il mondo, prima di cadere in disuso a metà degli anni Cinquanta, quando furono osservati risultati molto scarsi a lungo termine e fu sviluppata la prima ondata di psicofarmaci efficaci.

Henry Marsh, eminente neurochirurgo britannico, ha detto:

“(La lobotomia) rispecchiava una pessima medicina e una pessima scienza, perché era chiaro che i pazienti sottoposti a questa procedura non erano mai seguiti in modo adeguato. Se si osservavano i pazienti dopo l’operazione sembravano stare bene, camminavano, parlavano e ringraziavano il medico. Il fatto che fossero totalmente rovinati come esseri umani sociali probabilmente non era importante”.

Questo commento, estrapolato dal contesto della lobotomia frontale, potrebbe benissimo essere un commento attuale sulla pratica della transizione di bambini e ragazzi.

È una “cattiva medicina, una cattiva scienza” e non esiste un follow-up a lungo termine che valuti se l’euforia iniziale di tutte le persone coinvolte, compresi i ragazzi, i genitori e i medici, si mantenga a lungo per un numero imprecisato di individui.

Molti di questi ragazzi sono anche “totalmente rovinati come esseri umani sociali”, subiscono “maltrattamenti e violenze continui, gravi difficoltà economiche e instabilità”, discriminazioni e impatti negativi significativi sulla loro salute fisica e mentale, “nonostante la maggiore visibilità e la crescente accettazione”.

La lobotomia frontale non è stato l’unico scandalo medico degli ultimi anni provocato da una diffusione sconsiderata attraverso il contagio sociale. Ce ne sono stati diversi altri, ognuno con conseguenze altrettanto disastrose.

Ad esempio, la raccomandazione medica di far dormire i neonati in posizione prona è stata una pratica che ha provocato un forte aumento della sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS). Questa raccomandazione ha ribaltato anni di saggezza secondo cui far dormire i bambini sulla schiena era più sicuro.

È bastato un solo influencer, il dottor Benjamin Spock, e il suo libro populista Baby and Childcare (1956), per modificare la prassi precedentemente raccomandata. Spock sosteneva che la posizione prona era migliore perché preveniva l’aspirazione del vomito e riduceva il pianto.

Solo negli anni ’80 la ricerca ha dimostrato che dormire in posizione prona costituisce un grave rischio di SIDS e si è tornati a consigliare di far dormire i neonati in posizione supina; il tasso di SIDS è diminuito, ma purtroppo non prima della morte di forse decine di migliaia di neonati in tutto il mondo.

L’epidemia di oppioidi negli Stati Uniti, i difetti e i richiami dei dispositivi medici (ad esempio, le protesi mammarie Allergan, i materiali per le protesi d’anca metallo-su-metallo, gli impianti di rete vaginale per l’incontinenza urinaria da sforzo e il prolasso degli organi pelvici) erano tutti danni iatrogeni evitabili se si fossero condotte ricerche adeguate prima della loro applicazione.

Tra il 1999 ed il 2021 sono morte 645.000 persone per overdose da oppioidi. Molti di questi decessi sono stati causati dall’OxyContin, prescritto da medici che sono stati aggressivamente reclutati, sedotti e ricompensati dall’azienda farmaceutica Purdue Pharma per aver aumentato il tasso di prescrizione e il dosaggio di questo farmaco letale che crea dipendenza.

Un’altra procedura che ha attirato giovani donne psicologicamente vulnerabili e suscettibili alla manipolazione sociale è il dimagrimento delle gambe, noto anche come riduzione dei polpacci/neurectomia dei polpacci, che di recente in Cina è diventata una mania.

Non era necessaria dal punto di vista medico, né consigliabile, né aveva esiti positivi dimostrabili ed è stata ampiamente praticata fino a quando non è stata vietata dalla Commissione Nazionale Cinese per la Salute, che ha intimato la cessazione di tutte le procedure di questo tipo e ha imposto sanzioni penali per i chirurghi che continuavano a praticare questa procedura barbara che lasciava le giovani donne con dolore, disabilità e danni inutili.

Nessuna azione decisiva di questo tipo è stata intrapresa da professionisti del settore medico o da organismi legislativi per quanto riguarda il trattamento di affermazione di genere, nonostante la crescente evidenza non solo della sua mancanza di efficacia, ma anche dei danni inaccettabili che derivano dalla sua pratica continuata.

Il comportamento socialmente contagioso non si limita all’ accettazione entusiastica del trattamento di affermazione di genere. Gli esempi precedenti dimostrano che la professione medica è ampiamente incline al contagio sociale più della medicina generale. Tuttavia ciò è stato anche dimostrato su base sperimentale da Iyengar, Van den Bulte e Valente (2011), i quali hanno riscontrato il contagio sociale nei modelli di prescrizione dei medici dopo aver controllato la diffusione del marketing ed i miglioramenti sistemici, come l’avvento di nuovi farmaci e i variazioni nella diffusione delle malattie.

La vicinanza geografica condivisa, l’appartenenza ad un gruppo condiviso e i legami autoidentificati tra i medici sono stati tutti fattori di contagio comportamentale, con i legami autoidentificati come fattore più convincente.

Un fattore critico nei tentativi di marketing di manipolare l’adozione di un nuovo farmaco o di un trattamento medico è identificare i soggetti in  rete che sono influenti e quelli che sono influenzabili. Senza l’ accettazione individuale, una campagna di marketing vacilla (Christakis & Fowler, 2011). Le figure centrali della rete hanno una maggiore tendenza all’ accettazione precoce.

Naturalmente gli effetti di contagio della rete possono essere modificati dalle caratteristiche del prodotto, ad esempio l’efficacia e la sicurezza percepite di un nuovo farmaco.

Parte del dibattito sull’affermazione di genere enfatizza la sicurezza e la reversibilità dei bloccanti della pubertà, che presumibilmente si limitano a “mettere in pausa” lo sviluppo della pubertà, dando così ai bambini il tempo di “decidere” a quale genere desiderano appartenere.

Tuttavia, il dibattito alternativo, secondo cui il blocco della pubertà non è né sicuro né reversibile, è stato ampiamente messo a tacere o ignorato, anche di fronte all’evidenza che l’“idea” di mettere in pausa la pubertà è compromessa dal fatto che la maggior parte dei giovani che assumono i bloccanti passa poi all’assunzione degli ormoni cross sex.

Il contagio della rete è evidente anche nella posizione unificata relativa al valore e all’efficacia del trattamento di affermazione di genere di molti organismi medici di punta e delle loro riviste associate, tra cui l’American Medical Association, l’American Academy of Pediatrics, l’American Psychiatric Association, l’American College of Physicians, l’American Academy of Family Physicians, l’American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, l’Endocrine Society, la Pediatric Endocrine Society, l’Associazione professionale mondiale per la salute dei transgender e l’Associazione professionale statunitense per la salute dei transgender.

Lo psichiatra americano Jack Turban ha sfruttato questo apparente consenso raggiunto attraverso il contagio della rete per sostenere che il caso è risolto. Se tutti questi massimi organismi medici sono d’accordo, ergo, la posizione deve essere giusta.

Ci sono tuttavia alcune voci dissenzienti, come quella dell’American College of Paediatricians, che ha rilasciato una dichiarazione secondo la quale l’agenda transgender danneggia i bambini.

“Gli educatori ed i legislatori dovrebbero rifiutare tutte le politiche che condizionano i bambini ad accettare come normale una vita di imitazione chimica e chirurgica dell’altro sesso. I fatti – non l’ideologia – determinano la realtà… Condizionare i bambini a credere che una vita di imitazione chimica e chirurgica del sesso opposto sia normale e salutare è abuso sui minori”.

Un gruppo di scienziati di spicco era talmente sconcertato dalla “nuova” scienza del genere che ha formato un gruppo chiamato “Progetto Nettie: Scienziati che sostengono il sesso biologico” (2019) e hanno rilasciato la seguente dichiarazione…

“La riproduzione sessuale, la generazione di prole attraverso la fusione del materiale genetico di due individui diversi, si è evoluta oltre un miliardo di anni fa. È la strategia riproduttiva di tutti gli animali superiori e delle piante, compresa la classe dei mammiferi a cui appartiene l’uomo. Gli esseri umani possono essere distinti in due categorie in base al loro ruolo riproduttivo: le femmine producono ovuli e partoriscono piccoli vivi, i maschi generano spermatozoi per fecondare l’ovulo femminile. In base ai rispettivi ruoli, femmine e maschi hanno anatomie riproduttive diverse (“sesso biologico”). Nell’uomo non esistono altri meccanismi riproduttivi”.

Ciononostante, questi dissensi non solo sono stati ignorati, ma sono stati anche criticati e rigettati in un processo che si può dire assomigli al pensiero di gruppo.

È anche evidente negli standard di cura per i transgender forniti dalla World Professional Association for Transgender Health (WPATH, standard mondiali) e dalla Australian Professional Association for Trans Health (AusPATH, standard australiani).

Gli standard di cura australiani emessi dal Royal Children’s Hospital (RCH) di Melbourne, copiati da quelli della WPATH per il 2018/2020 per i ragazzi in fase di transizione, incluso il momento in cui iniziare il blocco della pubertà e gli ormoni cross- sex , sono stati acclamati dal governo di centro-sinistra di Victoria come “gli standard di sicurezza più severi” per i bambini e gli adolescenti, oltre che “i più progressisti al mondo”.

Tuttavia, gli standard AusPATH/RCH non sono basati sull’evidenza. Sostengono piuttosto il “consenso dei medici” e le “crescenti evidenze” per le “cure di affermazione di genere”, segnalano la necessità di ulteriori ricerche ma avvertono che il rifiuto del trattamento non è “un’opzione neutrale”, affermano che le cure di affermazione di genere sono “salvavita” e che la loro mancata somministrazione può aumentare il rischio di suicidio.

Nella revisione recentemente pubblicata dalla dottoressa Cass (2024), la guida al trattamento dell’RCH ha ottenuto un punteggio di 19 su 100 per il rigore e l’affidabilità, rispetto alle linee guida svedesi, che hanno ottenuto un punteggio di 71 su 100.

Eppure questi stessi standard dell’RCH, pubblicati come documento sottoposto a revisione sul Medical Journal of Australia e lodati da The Lancet, che rivendica un consenso internazionale, non fanno menzione di uno studio olandese (Vrouenraets, Fredriks, Hannema, Cohen-Kettenis, & de Vries, 2015) che mostra un preoccupante livello di incertezza medica e opinioni diametralmente opposte tra trentasei professionisti di medicina di genere in dieci Paesi.

Il documento olandese ha evidenziato sette aree di disaccordo, tra cui la causa della disforia di genere, il consenso, l’infertilità, i rischi per lo sviluppo cerebrale e le funzioni cognitive dell’interruzione della pubertà e se la disforia sia una malattia mentale o solo una normale variazione di genere della sessualità umana patologizzata da un trattamento pilotato dalla nostra cultura.

Questo studio ha sottolineato la mancanza di consenso sulla sicurezza, l’etica e i benefici della tendenza globale a prescrivere bloccanti della pubertà a pazienti sempre più giovani, sulla base dell’infondato presupposto che sospendere la pubertà dia loro il tempo di “decidere la loro vera identità”, riducendo il rischio di suicidio.

Sebbene internet sia pieno di queste affermazioni, ci sono state critiche severe che hanno dimostrato che i bloccanti della pubertà non apportano alcun beneficio nella riduzione dei suicidi.

Il sociologo britannico Michael Biggs ha esaminato i dati della clinica di genere Tavistock di Londra tra il 2010 e il 2020 e ha calcolato che la percentuale di pazienti morti per suicidio è stata dello 0,03%.

Un altro studio di registro sulla mortalità per tutte le cause e per suicidio tra i giovani di età inferiore ai 23 anni che hanno contattato i servizi specializzati per l’identità di genere in Finlandia nel periodo 1996-2019 (n=2.083) ha cercato di chiarire il ruolo della disforia di genere e di altre patologie psichiatriche sulla mortalità (Ruuska, Tuisku, Holttinen, & Kaltiala, 2024).

I decessi sono stati 55, di cui 20 (36%) suicidi. La mortalità per tutte le cause non differiva tra il gruppo dei ragazzi con disforia di genere ed il gruppo di controllo (n=16.643), ma la percentuale di suicidi era maggiore nel gruppo dei ragazzi con disforia di genere (0,3% contro 0,1%).

Tuttavia, una volta controllata la morbilità psichiatrica, né la mortalità per tutte le cause né quella per suicidio differivano tra i due gruppi.

Gli autori hanno concluso che la disforia di genere e la riassegnazione medica del sesso non predicono la mortalità per tutte le cause o per suicidio quando la morbilità psichiatrica è controllata. Hanno concluso che le co-morbilità psichiatriche, la frequenza dei contatti psichiatrici e il sesso maschile erano gli unici elementi distintivi tra coloro che si sono suicidati e coloro che non si sono suicidati. Nel gruppo della disforia di genere, lo 0,3% è morto per suicidio.

Altrettanto preoccupanti, perché costituiscono la base della valutazione e del trattamento psichiatrico, sono le modifiche apportate al Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell’American Psychiatric Association, il DSM-5 (2013) e il DSM-5-TR (2022), in cui la diagnosi di disforia di genere si concentra sul disagio e sul malessere che accompagna l’essere transgender, piuttosto che sull’identità di genere in sé.

Analogamente, nella Classificazione Internazionale delle Malattie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ICD-11, la diagnosi di incongruenza di genere è inserita in un capitolo sulla salute sessuale che si concentra sull’identità vissuta dalla persona e sulla necessità di un trattamento di affermazione di genere che potrebbe emergere da tale identità.

Questi cambiamenti sono stati acclamati come una vittoria per la “depsicopatologizzazione” delle identità transgender, ma non costituiscono altro che un’obbedienza servile alla follia collettiva dell’ideologia di genere e dei suoi sostenitori.

Questo è un estratto del nuovo libro del professor Kenny, “Gender Ideology, Social Contagion, and the Making of a Transgender Generation”, pubblicato da Cambridge Scholars Press. La professoressa Kenny, già docente presso l’Università di Sydney, è psicologa e psicoterapeuta i cui clienti includono giovani che si interrogano sul proprio genere.

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